martedì 29 novembre 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 25: GEORGE HARRISON (Living In THe Material World)

GEORGE HARRISON  Living In The Material World (1973)




LIVING IN THE MATERIAL WORLD ebbe una gestazione difficile e un ruolo importante, anche se spesso nascosto, all’interno della discografia di GEORGE HARRISON. Arrivare dopo un disco perfetto come ALL THINGS MUST PASS e dopo gli acclamati concerti FOR BANGLADESH dell'agosto 1971 a New York , organizzati insieme a Ravi Shankar per raccogliere fondi per i profughi di guerra del Bangladesh (da cui Harrison prenderà spunto per scrivere ‘The Day The World Gets ‘Round’ presente nel disco) non fu per nulla facile. Harrison arriva alla stesura del disco tra mille difficoltà: si era appena ripreso da un incidente automobilistico che lo tenne lontano dalle scene per alcuni mesi e dovette rinunciare all’ultimo momento alla presenza di Phil Spector in produzione, il produttore stava messo peggio di lui. Fece tutto da solo. Anche se ‘Try Some, Buy Some’ che inizialmente fu scritta per l'ex Ronettes Ronnie Spector è prodotta proprio da Phil Spector. L’unica. Premiato dal pubblico all’uscita (primo posto in USA) venne stroncato dalla critica dell’epoca che sembrò mal sopportare l’accentuata vena spirituale che aleggiava così pesantemente intorno alle undici canzoni, unita a un tono da predicatore che spesso andava sopra le righe (‘The Lord Loves The One’). Ma questo era Harrison e la sua slide alla fine vince, anche senza le nubi psichedeliche, create in studio da Spector, che sormontavano il precedente disco. Il titolo è ben rappresentato dalla grande foto interna che ritrae Harrison e i musicisti coinvolti in studio (Nicky Hopkins, Jim Horn, Klaus Voorman, Gary Wright, Jim Keltner e Ringo Starr) seduti nel lussuoso giardino di casa Harrison a mo’ di ultima cena. È il tema dominante di gran parte delle canzoni: quanto è difficile portare avanti una vita mistica di fronte ad un mondo materiale. Tra amore e spiritualità (esplicita è ‘Give Me Love’, quasi la sua ‘Imagine’: “dammi amore/dammi pace sulla terra/donami la luce e la vita/conservami libero dalla nascita/) spuntano anche riferimenti ai vecchi compagni. Paul McCartney e John Lennon sono citati nella title track (“John And Paul here in The Material World”), mentre in ‘Sue Me Sue Blues’ riprende cinicamente le beghe legali dopo lo scioglimento dei Beatles.
L’album più spirituale della carriera e forse l’ultimo degno di nota per molti anni a venire.
Curiosa la scritta che compare stampata nel retro copertina: “Jim Keltner Fan Club. For all information send a stamped undressed elephant to: 5112 Hollywood Boulevard, Hollywood, California”. Così il batterista Jim Keltner spiega quella bizzarra frase: “quando vidi la scritta chiesi a George, ma cosa vuol dire, cosa ti è venuto in mente? E lui mi rispose che se avesse dovuto fondare un fan club lo avrebbe fondato per qualcuno che ammirava sul serio. Gli piaceva scherzare sempre”. Inutile dirlo: a casa Keltner arrivò di tutto.
George Harrison morì esattamente quindici anni fa: il 29 Novembre 2001



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