martedì 26 luglio 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 16: NEIL YOUNG (Time Fades Away)

NEIL YOUNG   Time Fades Away (1973)


TIME FADES AWAY fu il primo vinile di Neil Young che acquistai. Il negozio aveva solo quello, la scelta fu obbligata. Lo ascoltai tantissimo subito, tanto dopo, spesso oggi, e l’affetto che provo per questa copertina (foto scattata a Philadelphia nel 1973 da Joel Bernstein) è immenso: per quella rosa rossa depositata a bordo palco, per il retro con quel gigantesco truck lanciato a fari accesi nella notte. Ma poi ci sono le canzoni: il galoppante e sgangherato honky tonk boogie di ‘Time Fades Away’, il pianoforte solitario, malato e notturno di ‘Journey Through The Past’, ‘The Bridge’, ‘Love In Mind’, ‘Yonder Stands The Sinner’,’ L.A.’, l’autobiografica forza di ‘Don’t Be Denied’, l’infinito finale elettrico di ‘Last Dance’. Strano inizio per approcciarsi al mondo di Young. Questo disco arrivò dopo l’incredibile successo di HARVEST, ma fece crollare tutti i castelli di carte di chi aveva apprezzato ‘Heart Of Gold’ e figlie, dando il benvenuto all’interno del baratro “oscuro” dentro cui sprofondò Neil Young per almeno un paio di anni ma che ispirò altri due capolavori incredibili come TONIGHT’S THE NIGHT e ON THE BEACH. Registrato durante diverse date di un tour del 1973 insieme agli Stray Gators (Tim Drummond, Johnny Barbata, Jack Nitzsche, Ben Keith) con la partecipazione di David Crosby e Graham Nash come sporadici special guest, inaugurò un nuovo modo di fare dischi per il canadese: presentare e registrare inediti, anche in modo approssimativo, durante i tour e farli uscire come “nuove uscite” con la disapprovazione dei fan che si aspettavano altro nelle setlist, lo stesso procedimento che generò-toccando il culmine-RUST NEVER SLEEPS.
La rivista Rolling Stone nella persona di Bud Scoppa, però, concluse la recensione con queste parole: “se anche non sarà un successo, l’album rimane un illuminante autoritratto di un uomo comunque affascinante”. “Nel 1973 feci un tour intitolato Time Fades Away. Era il mio primo tour negli stadi coperti e nei palasport e fui costretto a cantare molto forte (senza gli odierni monitor da palco) per riuscire a sentirmi sul palco. Danneggiai la mia gola e si svilupparono dei noduli sulle corde vocali che mi resero un po’ doloroso cantare, e quasi impossibile farlo piano e controllando la voce.” Scrive Young nell’autobiogafia ‘Special Deluxe’.
Ma, soprattutto, fu la prima testimonianza di un periodo di malessere e nervosismo generato dai tristi eventi della vita: la nascita del figlio Zeke con forti handicap e la morte per overdose dell’amico e musicista (nei Crazy Horse) Danny Whitten, immediatamente dopo che lo stesso Young lo cacciò in malo modo dalla band per le sue continue e reiterate cadute in alcol e droghe. Un rimorso che Neil Young si porterà dietro per tutta la vita e che ha sintetizzato così nell’ autobiografia ‘Il Sogno Di Un Hippie': “All’epoca pensavo che Danny fosse un grande chitarrista e cantante. Ma non avevo idea di quanto fosse grande. Ero troppo pieno di me per capirlo. Oggi lo capisco chiaramente. Vorrei tanto poter fare tutto di nuovo, così ci sarebbero più cose di Danny”. Intanto "l’ultima danza"continua a girare...



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