venerdì 26 luglio 2013

RECENSIONE:THE WINERY DOGS (The Winery Dogs)

THE WINERY DOGS  The Winery Dogs (Loud & Proud Records, 2013)

Supergruppo che va (Black Country Communion), supergruppo che trovi. Quando artisti dal nome importante incrociano gli strumenti tra di loro non sai mai cosa aspettarti. Carriere e background differenti non sempre riescono a confluire in qualcosa di nuovo, esplosivo e coinvolgente, cadendo spesso nel compitino poco supportato dall'ispirazione, senza contare quando ci si mette l'ego di mezzo. Allora sì sono guai, i Black Country Communion ne sanno qualcosa, vero Joe Bonamassa?
La storia del rock è piena di dischi nati quasi morti alla nascita, carichi di enormi aspettative che poche volte hanno mantenuto quel che promettevano e ancor di meno sono riusciti a superare la prova del tempo. Non sembra il caso dei The Winery Dogs che, dopo una prima incarnazione che vedeva la partecipazione di John Sykes (Thin Lizzy, Whitesnake, Blue Murder) ma subito abortita, nascono dall'idea di tre grandi nomi dell'hard/heavy rock degli ultimi venti/trenta anni, nonché tre musicisti di prima grandezza: Mike Portnoy ex batterista dei Dream Theater e di mille altri progetti di cui si è perso anche il conto, uno che senza bacchette in mano non riesce a stare e che qui sembra finalmente umano e passionale, Billy Sheehan bassista monstre di Talas, Niacin e Mr.Big, ma anche di David Lee Roth, Greg Howe e tanti altri, ehm lui veramente è in giro da più di trent'anni, e Richie Kotzen, guitar hero ma musicista in primis che dopo una veloce apparizione nei Poison e Mr.Big dove lasciò il suo segno indelebile come zorro, si è costruito una carriera di tutto rispetto tra le ragnatele del blues, del funk, del southern rock e del soul, coltivando nel migliore dei modi anche la sua vocalità che, oggi come oggi, non ha nulla da invidiare a qualsiasi cantante di mestiere, e arricchendo il tutto con un songwriting-tutte sue le liriche del disco-introspettivo ed efficace. Un talento che trova conferma in due delle migliori tracce del disco, piazzate proprio là, nel finale: The Dying, lento e notturno blues con la voce di Kotzen che si eleva nello splendido falsetto e Regret, caldo soul/gospel puntellato dalle tastiere. Un finale che si raggiunge con piacere visto che l'alchimia fra i tre funziona alla grande durante le 13 canzoni e i sessanta minuti del disco.
Di fronte a tre maestri dello strumento, il pericolo che uscisse qualcosa di estremamente pesante da digerire era dietro l'angolo, ma fortunatamente è stato scansato a favore di un classic rock agile, dinamitardo e ruspante che non si perde mai in mero esibizionismo, preferendo la forma canzone legata alla tradizione come gli umori southern alla Black Crowes di One More Time quanto moderna e melodica come i vorticosi sali e scendi dell' apertura affidata a Elevate, o i tanti caratteri cangianti di The Other Side che parte veloce, sale nello spazio con l'assolo di Kotzen e finisce come un mattone scagliato in piena faccia dall'alto cielo. Ma anche canzoni cariche di groove come We Are One dalla base ritmica forte come un cingolato da guerra e le repentine scale di Kotzen a stupire, e l'hard/funk Desire tanto vicino agli ultimi dischi solisti di Kotzen nel suono-ricordandomi anche i primi dischi degli Extreme-quanto a Glenn Hughes nella voce, con Portnoy che dimostra finalmente di aver anche un cuore caldo e pulsante che le partiture del suo vecchio gruppo in parte sacrificavano a favore della perfezione.
E poi, piace l'estrema varietà delle tracce: si passa dalla melodia pop/soul alla Hall & Oates di Damaged, la raffinatezza di You Saved Me, e I'm No Angel all'oscuro malessere in stile Alice In Chains anni '90 che introduce Time Machine forte del suo vorticoso finale (la canzone è presente nell'edizione USA al posto di Criminal,altro buon brano con Sheehan in cattedra, presente nella versione giapponese), al cadenzato macigno di Six Feet Deeper dove i tre si concedono la meritata passerella con il basso di Sheehan che pare uscire dalle casse per bussare alle mura di casa, la batteria di Portnoy pronta ad abbatterle a colpi di rullante e la chitarra di Kotzen a ricamare per la ricostruzione. Proprio il chitarrista è quello che lascia maggiori tracce di sé lungo tutto il disco che recupera, in molti punti, lo stile dei suoi lavori solisti.
Affiatamento pazzesco che supera ogni più rosea aspettativa. Un power trio con gli attributi e le canzoni; sperando che, visti i buoni risultati, non si debba presto affiancare il loro nome a quei supergruppi che se ne vanno troppo in fretta. Se il supergruppo diventasse band?
Intanto, saranno in Italia il 18 Settembre al Live Club di Trezzo d'Adda (MI). voto: 7,5




vedi anche RECENSIONE/REPORT live RICHIE KOTZEN live @ Rock'n'Roll Arena, Romagnano Sesia (NO), 20 Marzo 2012




vedi anche RECENSIONE/REPORT live THE BLACK CROWES live @ Alcatraz, Milano, 3   Luglio 2013



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