martedì 15 maggio 2018

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 60: BILLY JOEL (Cold Spring Harbor)

BILLY JOEL   Cold Spring Harbor (CBS, 1971)





Dopo le uscite discografiche con la prima band, The Hassles, dischi che fallirono sotto il profilo delle vendite, Billy Joel e Jon Small formarono, sotto la spinta del nascente Hard Rock, un insolito duo batteria-organo (un Hammond amplificato, distorto e usato come una chitarra elettrica), gli Attila, votato a sonorità dure, a tratti prog ed epiche ben rappresentate da una copertina di cattivo gusto che li vede ritratti in abiti barbarici dentro ad una stanza da macello ed un suono proto- metal che oggi potrebbe pure andare di moda tra le numerose band/duo esistenti. Un unico e disastroso (in termini di vendita) disco (1970) e anche questo progetto naufragò velocemente, mettendo Joel davanti alla dura realtà del music business. Gli rimasero alcune carte da giocare come critico musicale per il magazine Changes e la scrittura di alcuni jingle musicali per pubblicità, che non bastarono però ad evitargli il baratro della depressione che culminò in un tentativo di suicidio, in verità mai accertato con sicurezza, ed il ricovero presso un ospedale psichiatrico per la guarigione. Episodio raccontato con forti dosi di humor, più in là in carriera: "ho bevuto lucido per mobili. Sembrava più saporito della candeggina” rivelò. "Sono una persona molto sensibile e vulnerabile, con una recensione cattiva potete anche distruggermi” e Robert Palmer, celebre critico musicale del New York Times, ci provò anche più avanti distruggendo il suo masterpiece ‘The Stranger’. Non fu che il primo campanello di allarme a testimonianza dei demoni che si porterà dietro per tutta la carriera: dalle droghe, alla burrascosa vita famigliare (tre matrimoni, tre divorzi), i numerosi incidenti stradali (uno in moto per poco gli costò mani, carriera e quasi la vita), alle liti con ex componenti della sua band, fino all’alcolismo che a scadenze regolari ne mina l’esistenza. E’ del 2012 la notizia rivelata in pubblico dall’amico Elton John che ha consigliato a Joel un periodo di rehab per sconfiggere l’alcolismo, oltre che prendere l’ occasione per punzecchiarlo sulla pigrizia nello scrivere canzoni che lo ha colpito negli ultimi vent’anni, “In questo momento Billy mi odia. E capisco il perché. Mi ha mandato un messaggio dicendomi che non era felice. E ho subito capito di cosa si trattava” racconta Elton John.
 Anche il primo album a suo nome ha tutte caratteristiche per scoraggiare sul nascere la carriera di qualsiasi musicista in erba, ma il carattere combattente da ex pugile e la terapia, affrontata e riuscita, questa volta ebbero la meglio. Joel firma un contratto disastroso con la Artie Ripp Family Productions e sforna il suo primo disco COLD SPRING HARBOR (titolo rubato a un quartiere di Long Island a New York), un disco di ballate al pianoforte, prodotto e masterizzato in maniera indecente (a velocità sbagliata) pur contenendo già qualche buona gemma come ‘You Can Make Me Free’, le più famose e longeve nel tempo ‘She’s Got A Way’ e ‘Everybody Loves You Now’ che verranno riprese nel live SONGS IN THE ATTIC del 1981, la strumentale ‘Nocturne’, il picco confessionale toccato con ‘Tomorrow Is Today’, con il suo intermezzo gospel, che si addentra proprio tra le pieghe di quel tentato suicidio. Il contratto firmato da Joel dava tutto in mano a Ripp per i successivi 15 anni e la rescissione gli costò, più avanti in carriera, un bel gruzzoletto. La Columbia quando mise sotto contratto Joel, dovette sobbarcarsi il problema fino all’estinzione del debito con il non pregevole obbligo di stampare il logo Family in tutte le copertine dei dischi successivi. Il debutto passò totalmente inosservato, venendo registrato e rivalutato a carriera affermata nel 1984. “Il mio più grande errore in vita è stato firmare tanti contratti che non sapevo cosa fossero” dirà in seguito.





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