lunedì 26 febbraio 2018

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #54: LYNYRD SKYNYRD (1991, The Last Rebel)


 LYNYRD SKYNYRD   1991




Tour americano del 1991, i Lynyrd Skynyrd decidono di aprirlo a Baton Rouge in Louisiana. Non è un posto qualunque ma la città verso cui era diretto quel maledetto aereo nel 1977. Non ci arrivò mai come sappiamo. Chi possiede ancora il vecchio biglietto di quel concerto mai suonato, potrà entrare gratis. C'è da portare in giro un disco importante, il primo registrato dalla band dopo quattordici anni: 1991 è il titolo, l’anno della rinascita. Anche se per ragioni legali Lynyrd Skynyrd 1991 sarà il nuovo nome della band per un breve periodo.
Ci sono i superstiti Gary Rossington (chitarra), Billy Powell (tastiere), Leon Wilkeson (basso), Artimus Pyle (batteria), Ed King (chitarra) e poi i nuovi Johnny Van Zant, fratello di Ronnie Van Zant alla voce, Custer alla batteria che presto sostituirà del tutto Pyle e Randall Hall alle chitarre. Tre chitarre tre come ai vecchi tempi. Dopo il trionfale tour tributo del 1987 documentato in Southern By The Grace Of God (1988), i tempi sono buoni per rimettere in moto la leggenda e farla restare tale ancora per un po’. “Abbiamo cominciato, ci siamo divertiti, siamo stati soddisfatti del risultato ed abbiamo rimesso in piedi la band”, racconta Van Zandt in un'intervista dell'epoca. Johnny Van Zandt prima di prendere l’importante decisione di entrare nella band vuole essere sicuro che tutta la famiglia approvi l’idea. Naturalmente sarà un' unanime sì e non ci sarà nessun pentimento per una storia che continua ancora oggi, tra alti, bassi e tante perdite.



“C'è forse un po’ meno rabbia, ma c'è anche molta meno droga in giro. Johnny è bravo quanto Ronnie nello scrivere testi con una storia interessante. In quello non è cambiato nulla”, così Gary Rossington. 1991 è un disco onesto che non aggiunge nulla alla storia già scritta ma presenta una band ancora viva e vogliosa di lasciare un segno: sia negli episodi più rock e incisivi (‘Smokestack Lightning’, ‘Keeping The Faith’, ‘Southern Women’,’I’ve Seen Enough’) che nelle ballate (‘Pure & Simple’,’Mama, Afraid To Say Goodbye’,’End The Road’ con una citazione di Freebird nel testo) che pur non arrivando a toccare i vertici emotivi del passato, lo tributano nel migliore dei modi. Un ritorno per restare e il successore THE LAST REBEL sarà pure superiore.



LYNYRD SKYNYRD  The Last Rebel  (1993)





 Se trovare i cinque stelle tra la discografia dei ‘70 è estremamente facile e appagante, farlo con i dischi della reunion post sciagura è assai più complicato o più semplicemente non ci sono. Si gioca di mestiere, a volte bene, a volte troppo anche se con l’ immutata onestà di sempre. L’unico, il mio preferito, che potrebbe avvicinarsi ai settanta è THE LAST REBEL, secondo disco con Johnny Van Zant alla voce. Continuità con il passato garantita da una formazione ancora legata a quella storica anche se un paio di anni dopo si sgretolerà completamente: Gary Rossington (rimarrà, negli anni, l’unico sempre presente), Ed King, Leon Wilkeson e Billy Powell sono ancora della partita.

Si sente. Canzoni inaspettatamente ricche di soul, assicurato dalla sezione fiati diretta da Jim Horn (’Good Lovin’s Hard To Find’, ’Best Things In Life’ firmata anche da Tom Keifer dei Cinderella) e qualche buon brano carico di antica epicità e vecchio orgoglio sudista (anche se spesso discutibile) come ‘The Last Rebel‘ e ‘Born To Run‘ (no, Springsteen non c’entra!) che sembrano regalare ancora qualche antico sussulto. Dopo sarà solo una carovana di comparse e dischi con un nome da difendere, tanto mestiere, e solo qualche sporadico acuto, fino all’annuncio di pochi giorni fa: gli ultimi ribelli alle prese con l’ultimo tour della loro gloriosa e travagliata storia.





PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #48:STEVE FORBERT-Alive On Arrival (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #49:CRY OF LOVE -Brother (1993)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #50:THE BLACK CROWES-By Your Side (1999 )
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #51: NEIL YOUNG-Re-Ac-Tor (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #52: DUST-Dust (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #53:THE GEORGIA SATELLITES-Open All Night (1988)

 

mercoledì 21 febbraio 2018

RECENSIONE: GRANT-LEE PHILLIPS (Widdershins )

GRANT-LEE PHILLIPS       Widdershins (Yep Records, 2018)







“In quale direzione ci stiamo muovendo?” . È con questa domanda in testa che GRANT-LEE PHILLIPS imbraccia una chitarra, insieme ai fedeli Lee Prixe al basso e Jerry Roe alla batteria, e cerca di dare più risposte possibili con un disco diretto e immediato, registrato con l’urgenza dei tempi migliori, in soli quattro giorni, a Nashville. Là dove il precedente e bellissimo THE NARROWS giocava prevalentemente attraverso suoni acustici con ballate quasi ipnotiche e volgeva lo sguardo indietro, scavando tra le sue radici pellerossa (Cherokee) e riflettendo sull’importante scelta di vita del trasferimento da Los Angeles a Nashville, con WIDDERSHINS affronta con piglio beffardo, e con una buona dose d’ironia, il presente, i problemi della sua grande patria (sì, Trump centra qualcosa), i rapporti sociali sempre più freddi e prossimi allo zero (“non abbiamo mai lasciato il deserto” canta in una strofa di ‘The Wilderneds’) non mancando di giocare con astuzia tra corsi e ricorsi storici: ‘Scared Stiff’ ha il passo veloce dei Clash di ‘London Calling’, ‘The Wilderneds’ e ‘Great Acceleration’ sono rock tesi che rimandano diretti ai giorni dei Grant Lee Buffalo. A proposito Phillips ci vede anche una forte somiglianza tra i periodi storici: “Il periodo dei Grant Lee Buffalo fu anche un periodo di intensa ansia sociale. La Guerra del Golfo, le rivolte di Los Angeles…ero in uno stato d'umore alterato quando scrissi quelle canzoni, proprio come ora”.
L’umore musicale del disco è comunque vario. Alterna i momenti più elettrici con intense pennellate di pura americana (l’apertura ‘Walk In Circles’ ricorda musicalmente il compianto Tom Petty e riflette saggiamente sul tortuoso percorso fatto dall’uomo fino ad oggi, cercando un’originale soluzione), ‘King Of Catastrophes’, ‘Miss Betsy’ (che affronta anche il delicato momento economico e il problema del lavoro minorile), ‘Another, Another, The Boom’ e ‘History Had Their Number’ sono piccole delizie folk roots e country. Grant-Lee Phillips fa nuovamente centro con un disco sentito e ispiratissimo, pieno di ambigui personaggi e messaggi lanciati con il piglio del grande songwriter.





lunedì 19 febbraio 2018

RECENSIONE: DALLAS MOORE (Mr. Honky Tonk)


DALLAS MOORE        Mr.Honky Tonk (2018)






Li chiamavano “Honky Tonk Heroes” e DALLAS MOORE da più di vent’anni ne segue le orme e porta avanti la tradizione nel migliore dei modi. Immediati i riferimenti a personaggi come Waylon Jennings e Billy Joe Shaver. Due a caso che contano. Benchè questo MR. HONKY TONK sia solo il quarto album in carriera, per cercare il suo esordio bisogna correre indietro al 1991. Cappellacio calato in testa, lunga e folta barba, look e approccio non troppo lontani da quelli di Chris Stapleton-tanto per rimanere nel presente di questi ultimi anni-, anche se Stapleton gioca spesso e volentieri di classe soul mentre Moore è notevolmente più grezzo.
Prodotto e registrato da Dan Miller (figlio di Roger Miller) a Nashville, inizialmente doveva essere un EP di sole quattro canzoni che si è allungato a otto nell’ultimo anno, quando il songwriter di Cincinnati ha trovato nuove ispirazioni per scrivere durante i tour aperti per alcuni suoi eroi come Dean Dillon, Billy Joe Shaver (eccolo) e Ray Wylie Hubbard. Un anno, il 2017 , che lui stesso incorona come uno dei migliori della sua vita: è diventato padre, l’Ameripolitan Music Awards di Austin ha incoronato il suo gruppo come la migliore outlaw country band dell’anno, e perfino avvenimenti tristi come la morte di Tom Petty sono stati d’aiuto per la scrittura dei pezzi. A volte capita. Purtroppo.
Sono proprio i live (si parla di circa 300 date all’anno!) e la strada a segnare le canzoni: “Ho scritto molte delle mie canzoni in sella alla mia Harley Davidson Road King” racconta in una intervista. E già ce lo immaginiamo.
Un disco caratterizzato da luoghi , viaggi e paesaggi tipicamente americani (‘Home Is Where The Highway Is’ è un testamento , ‘Texahio’), dove litri e litri di Whiskey vengono versati senza badare troppo a spese (‘Mr.Honky Tonk’ l’ha scritta vent’anni fa e racchiude un genere) dove solidi country rock elettrici (l’amore perduto di ‘Killing Me Nice And Slow’ con la chitarra del ventiduenne Lucky Chucky) e sbilenchi walzer guidati dalla pedal steel di Steve Hinson (‘You Know The Rest’) si susseguono fino ad arrivare al bel southern rock finale di ‘Shoot Out The Lights’ che viaggia di slide e dove compare l’armonica di un personaggio come Mickey Raphael (già con Willie Nelson, Waylon Jennings, Chris Stapleton). Dallas Moore incarna alla perfezione la figura del musicista solitario e anticonformista, duro e puro, all'occorrenza romantico (senza esagerare), efficace nel far proseliti senza usare effetti speciali.
Forse non diventerà mai un eroe (ma uno che fa 300 concerti all’anno una candidatura la merita) ma un posto tra i migliori dell’outlaw country di questi giorni l’ha già guadagnato da tempo.





 

martedì 13 febbraio 2018

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 53: THE GEORGIA SATELLITES (Open All Night)

THE GEORGIA SATELLITES   Open All Night (1988)






Quando parte ‘Open All Night’, prima traccia di questo secondo album, la sensazione di aver messo su per sbaglio ‘Pink Cadillac’ di Bruce Springsteen dura pochi secondi fino a quando la chitarra di Rick Richards attacca l’assalto, anche se Dan Baird e soci non hanno mai fatto mistero dell’influenza di quella canzone sulla loro. I Georgia Satellites, da Atlanta, si nutrivano sì di rock'n'roll alla vecchia maniera pescato con cura tra il blues di Chuck Berry e l’irriverenza di Jerry Lee Lewis (ecco due vere cover: ‘Whole Lotta Shakin’ e quella ‘Don’t Pass Me By’ scritta da Ringo Starr per il White Album dei Beatles, rilette selvaggiamente in chiave honky tonk) ma seppero aggiungere la durezza di chitarre elettriche aspre e arcigne (‘Sheila’,’Cool Inside’), pescare nella tradizione del loro sud (la ballata finale ‘Hand To Mouth’), dal garage rock, dal rockabilly (‘Mon Cheri’ ricorda i Blasters), dall’hard rock blues (‘Down Down’ avanza come una canzone degli Ac/Dc), nel rock alternativo dei loro contemporanei (‘Baby So Fine’ puzza di Replacements), prendere il lato più sporco e selvaggio di band come i Faces. A tal proposito c'è da segnalare la presenza di uno scatenato Ian McLagan al pianoforte in tre brani. Quella che ne esce è una delle band più viscerali, vere e dirette della seconda metà degli anni ottanta (completano la formazione: Rick Price al basso e Mauro Magellan alla batteria), in grado di tenere alto il nome del southern rock in un periodo in cui viaggiava ai minimi storici per popolarità e scarsità di band all’apice, riaprendo quelle strade che pochi anni dopo saranno nuovamente frequentate assiduamente. Inferiore al debutto uscito due anni prima (trainato dal successo di ‘Keep Your Hands To Yourself’), e anche al successivo e più equilibrato e maturo IN THE LAND OF SALVATION AND SIN uscito l’anno dopo, i Georgia Satellites sono da prendere totalmente in blocco. In tre album seppero dire tutto con l’urgenza dei grandi e con il grande rispetto verso gli altri grandi che arrivarono prima di loro, come testimoniano le numerose cover in scaletta. Durò tutto pochissimo, lo stesso tempo impiegato dalla colla degli adesivi incollati sulla copertina di Open All Night a seccarsi. Una volta volta seccata la colla rimangono i ricordi appiccicosi, difficili da eliminare completamente. Quelli che ti porti dietro per sempre.





PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)

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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #51: NEIL YOUNG-Re-Ac-Tor (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #52: DUST-Dust (1971)

 

mercoledì 7 febbraio 2018

RECENSIONE: ANDREA VAN CLEEF (Tropic Of Nowhere)

ANDREA VAN CLEEF   Tropic Of Nowhere (2018)



TROPIC OF NOWHERE il nuovo album solista di ANDREA VAN CLEEF è uscito lo scorso 23 Febbraio, riscuotendo immediatamente un buon riscontro della critica musicale. Uno dei suoi punti di forza è l'estrema versatilità  stilistica che accompagna le canzoni in scaletta e perché no: una veste grafica accattivante e vincente. Chi conosce bene il bresciano Andrea (radici camune le sue) non si sorprenderà di tutto ciò: artista poliedrico e musicalmente curioso, capace di tenere banco tanto con i suoi progetti originali di musica pesante tra Black Sabbath e stoner californiano (i defunti Van Cleef Continental, gli Humulus), quanto con  i suoi progetti solisti di folk rock psichedelico (il precedente SUN DOG) e omaggi (bello quello messo in piedi per i Morphine).
Dentro a Tropic Of Nowhere, quindi, ho trovato un po' tutto quello che mi piace ascoltare ora: chitarre elettriche che si agganciano all’altra fetta del suo attuale percorso musicale più pesante targato stoner (gli HUMULUS di cui è cantante e chitarrista)-in un brano si riformano anche i Van Cleef Continental ( il batterista Simone Helgast Cavagnini, il bassista Giorgio Fnool e Elena Lady Cortez alle tastiere) il suo gruppo precedente, atmosfere acustiche a metà strada tra
Foto:Tommaso Donghi
i Grateful Dead di American Beauty e il tenebroso Johnny Cash (‘Wrong Side Of A Gun’ cantata insieme a Patricia Vonne), numerose impronte desertiche e di frontiera alla Calexico, Giant Sand e Ry Cooder (una stravolta e caliente 'Paranoid' dei Black Sabbath cantata insieme a Vanessa Del Fierro-irriconoscibile se non ci fosse il testo), schegge impazzite di rockabilly ’50 e garage rock (‘Friday’), luci soffuse e psichedeliche ('Tropic Of Nowhere') che si riallacciano al precedente disco solista, ammiccando a Jonathan Wilson,
suggestive tastiere vintage a impreziosire e una curiosità musicale che sembra ricordare molto da vicino pure Dan Aurbach e i suoi Black Keys ('I Wanna Be Like You'). Tanta carne al fuoco. Suonano con lui THE FOREVER PEOPLE ( Andrea Braga alle tastiere, Giorgio Fnool al basso e Matteo Melchiori alla batteria) e numerosi artisti americani del giro di Rick Del Castillo, pescati a Austin in Texas. Disco caldo, vario, dall' impronta internazionale. Consigliatissimo. Così come consigliato è andare cercare tra le date del tour quella più vicina a voi, ma anche quelle più lontane, perché no? La musica è anche viaggio e Andrea tiene bene il volante.
 






giovedì 1 febbraio 2018

RECENSIONE: BLACK LABEL SOCIETY (Grimmest Hits)

BLACK LABEL SOCIETY  Grimmest Hits (Spinefarm Records, 2018)






E bravo il nostro Zakk Wylde! Non scambiate il titolo per una raccolta di vecchi successi, GRIMMEST HITS è il nuovo album dei BLACK LABEL SOCIETY. Pur non avendo mai cambiato di una virgola il suo approccio alla materia musica, questa volta azzardo nell’affermare che queste dodici canzoni siano quanto di meglio sia uscito sotto la sigla BLS da molti anni a questa parte. Uno dei migliori certamente. Questo grazie al fondamentale recupero di un pesante blues di matrice Black Sabbath (‘All That Once Shined’, ‘A Love Unreal’, ‘Disbelief’, 'Bury Your Sorrow’) forse ritornato in dono dopo il rientro del chitarrista nella band di Ozzy Osbourne, anche se i suoi ZAKK SABBATH (di fatto una cover band) parlano chiaro. Chiarissimo. Anche le tre parentesi acustiche convincono, emanando sapori di vecchio southern rock (‘The Only EWords’, ‘The Day That Heaven Had Gone Away’, la finale ‘ Nothing Left To Say’) ma si è sempre saputo che sotto la lunga barba e dietro quella chitarra eletttrica ha sempre battuto un cuore caldo e sanguinante, alimentato ad alcol e amante del vecchio Neil Young e dei Lynyrd Skynyrd. E poi le solite immancabili mazzate, tamarre sempre il giusto: ‘Trampled Down Below’, ‘Room Of Nightmares’, e una rockeggiante e bella ‘The Betrayal’. L'appuntamento è fissato per il 16 Marzo all'Alcatraz di Milano.