mercoledì 6 dicembre 2017

RECENSIONE: CHRIS STAPLETON (From A Room, Volume I & Volume II)

CHRIS STAPLETON    From A Room, Volume I & Volume II (Mercury Nashville/ Universal 2017)




“Il luogo dove registri può influenzare, nel mio caso anche elevare, quello che fai”. Con queste parole CHRIS STAPLETON, 38 anni, sintetizza il titolo scelto per l’ambizioso progetto musicale di questo 2017. Il 5 Maggio erano uscite le prime nove canzoni raccolte sotto il titolo: FROM A ROOM, VOLUME I. Il primo Dicembre è arrivato il VOLUME II. Chris Stapleton ha registrato il seguito del fortunato debutto TRAVELLER, negli stessi studi di Nashville dove registrarono i suoi grandi idoli: Waylon Jennings, Willie Nelson, Elvis Presley. Mura piene di storia che un paio d’ anni fa furono salvate dal triste destino a cui stavano andando incontro: la demolizione. Scongiurata la wrecking ball rimane la magia. Prodotti entrambi dal fido Dave Cobb, che ci suona anche la chitarra acustica, Stapleton cerca di bissare il grande successo di un debutto nato sulle highway, durante un lungo viaggio con la moglie in cui cercò di recuperare sia il meglio di se stesso, dopo alcune delusioni di vita, che le sue aspirazioni e esperienze musicali, comprese le parentesi con i suoi vecchi gruppi, e le tante canzoni scritte per altri come autore. Con lui in studio: la moglie Morgane Stapleton ai cori, il batterista Derek Mixon, il basso di J.T. Cure e le ospitate di Mickey Raphael all’ armonica, Robby Turner alla pedal steel e le tastiere di Mike Webb.
VOLUME I ripete bene la formula, bilanciando le varie anime della sua musica anche se a prevalere, come già anticipato dal debutto, è sempre quella più soul e nera grazie soprattutto alla sua straordinaria voce: ‘I Was Wrong’, l’incidere soffuso e notturno della finale ‘Death Row’, la splendida ‘Either Way’ che insieme a ‘Last Thing I Needed , First Thing This Morning’ (rubata a Willie Nelson) sono il punto più alto del disco e sembrano uscite da impolverati dischi motown abbandonati su una vecchia diligenza guidata da vecchi cowboy e persa tra le strade del Texas. Come se Otis Redding camminasse, senza fretta, sotto braccio a Waylon Jennings. Outlaw soul. Maggiore omogeneità rispetto al debutto, spezzata solamente da un lento walzerone country dominato dalla lap steel (‘Up To No Good Livin’’), un vecchio blues con l’armonica (‘Them Stems’), e l’incalzante rock di ‘Second One To Know’, il momento più elettrico e movimentato del disco. Il perché i sessanta minuti di musica siano stati divisi in due parti non si sa bene, perché anche il VOLUME II batte le stesse strade. E non è per nulla un male. Due le cover: l’apertura ‘Millionaire’, un country rock di Kevin Welch e la finale ‘Friendship’ di Pope Staples. In mezzo c’è ancora la sua straordinaria voce che si esalta e emoziona nei momenti più marcatamente soul come la stessa ‘Friendship’, in ‘Nobody’s Lonely Tonight’ e ‘Tryin’ To Untagle My Mind’, un country soul dal passo pigro e un bel lavoro di chitarre dietro. Ci sono galoppanti honky tonk alcolici il giusto (‘Hard Livin’’), chitarre che graffiano in profondità nello stomp rock di ‘Midnight To Memphis’, l’episodio più marcatamente rock di questa seconda uscita, e ballate dal fiero accento americano come ‘A Simple Song’ e ‘Drunkard’s Prayer’ o l’atsmosfera di frontiera tra polvere e cielo che si respira nella bella ‘Scarecrow In The Garden’.
Chris Stapleton si conferma uno degli ultimi depositari di una vecchia formula che tra gli anni sessanta e i settanta cercò di riscrivere la musica americana. Anche se un punto inferiore al debutto, che poteva giocarsi la carta sorpresa, rimane pur sempre due punti superiore per spessore e intensità alla media delle uscite odierne nel suo campo. Una delle migliori uscite discografiche americane di quest’anno. Il buon Stapleton è un songwriter di talento e con questa ambiziosa opera si assicura un posto lì, immediatamente dietro i grandi vecchi.



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