lunedì 18 dicembre 2017

RECENSIONE: BOB SEGER (I Knew You When)


BOB SEGER  I Knew You When (Capitol Records, 2017)


Dico la verità, quando in Ottobre si sparse la notizia della sospensione del tour americano di Bob Seger, per un attimo ho temuto il peggio, sembrava la ripetizione di una notizia già letta troppe volte: un disco in uscita già programmato e le rockstar che ci saluta in anticipo. Fortunatamente Seger è ancora qui con noi e i problemi alle vertebre non sembrano così gravi come si pensava.
Strano disco questo I KNEW YOU WHEN. Di chiara matrice rock e lo si capisce subito dalla partenza southern ‘Gracile’, certamente più del precedente RIDE OUT che si perdeva sovente tra le vie country di Nashville. Pur con una tracklist raffazzonata che raccoglie dal passato recuperando vecchi scarti, con due cover (‘Busload Of Faith’ di Lou Reed e ‘Democracy’ di Leonard Cohen) riviste e attualizzate nei testi (un deciso attacco a Trump) e con una produzione così e così opera dello stesso Seger, e qui un buon produttore sarebbe servito- i synth di ‘The Highway’ e i muscoli di ‘Runaway Train’ rimandano direttamente agli ’80, quelli invecchiati male e ti chiedi perché?-si fa comunque voler bene per l’onestà. ‘I Knew You When’, ‘Marie’, il pianoforte più il crescendo di ‘I’ll Remember You’ lo riportano sulle epiche strade delle sue irraggiungibili ballate del passato, e ripeto irraggiungibili per intensità che girava nei settanta. ‘Sea Inside’ è un hard rock che lo stesso Seger ha dichiarato essere nata sulla scia dei Led Zeppelin. Seger guarda alla gioventù in copertina, vive il presente nei testi e si tuffa nella malinconica nostalgia con la finale ‘Glenn Song’ dedicata, come tutto il disco, all’amico Glenn Frey, compagno d’avventura fin dal lontano ‘66 lungo la scalpitante Detroit musicale di allora. Certamente non uno dei suoi migliori dischi (l'ultimo rimane il buonissimo FACE THE PROMISE del 2006), anzi, ma un segno di vitalità non da poco vista l'età e i già citati problemi fisici, speriamo veramente superati. A metà carriera, un disco del genere sarebbe stato definito “di passaggio". A voi le conclusioni.


 

 
 

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