martedì 28 novembre 2017

RECENSIONE: NEIL YOUNG + THE PROMISE OF THE REAL (The Visitor)

NEIL YOUNG + THE PROMISE OF THE REAL  The Visitor (Reprise Records, 2017)






Dopo l’uscita di HITCHHIKER, l’anno di Neil Young poteva finire lì e saremmo stati tutti contenti. Facile direte voi: il Neil Young di quarant'anni fa vince sempre e porta a casa la partita. Invece no, ecco ricomparire la sua bulimica dose di canzoni che divideranno ancora una volta critici e fan. Più i primi come sempre. Chi lo stroncherà e chi gli darà nuovamente del genio. Confessiamolo: c'è sempre un sorta di timore davanti a un nuovo disco di Neil Young, eppure a differenza di tanti suoi coetanei riesce sempre a stupire, nel bene come nel male. PEACE TRAIL, uscito l’anno scorso aveva un'anima ben precisa, una traccia da seguire sulle orme dei nativi americani. Un grande album per me, forse capito poco.
THE VISITOR, il secondo, oltre all'atipico live EARTH, insieme ai Promise Of The Real  di Lukas Nelson e compagni (il fratello Micah, Corey McCormick, Anthony Logerfo e Tato Melgar: bello il loro disco di quest’anno) è molto più vario musicalmente mentre concettualmente poggia sulle riflessioni di un canadese davanti al paese (gli Stati Uniti) che lo ospita da più di mezzo secolo: un atto d'amore che in tempi di esodi di massa può far riflettere. Se da una parte le invettive (la risposta a Donald Trump nel southern rock di ‘Already Great’ dove gliele canta senza paura, sfidandolo e sognando un mondo senza: "No wall, no hate, no fascist U.S.A"canta) e gli slogan ripetuti all’infinito dell'ambientalista ‘Stand Tall’ sembrano riallacciarsi al mood di THE MONSANTO YEARS-sono anche le tracce più rock del disco-l'inno patriottico ‘Children Of Destiny’ che avanza stancamente in modo tronfio tra fiati, chitarre e orchestrazioni (i 56 elementi del Capitol Studios), ‘Diggin’ A Hole’, un blues corale, ma innocuo e un poco noioso nel suo incedere, e ‘When Bad Got Good’ un riempitivo inutile, dall'altra parte ci sono almeno quattro canzoni che fanno alzare notevolmente le quotazioni, questo quando Young osa e dimostra di sapersi ancora divertire con la musica.

‘Fly By Night Deal’ è un pezzo dal ritmo funk con il testo narrato e parlato, fresco e divertente, ‘Almost Always’ è una classica ballata chitarra e armonica in cui ricicla se stesso per la millesima volta (tra Harvest e Harvest Moon per intenderci, ma più il secondo), ma in fondo Neil Young che fa Neil Young è sempre un piacere sentirlo, mentre a sorprendere di più è l’altro pezzo acustico ‘Change Of Heart’, oscuro e notturno con un fischiettio come linea guida. I pezzi forti sono i più lunghi: la finale e melanconica ‘Forever’ ("il mondo è come una chiesa senza il prete" è la chiosa), dieci minuti che risvegliano antichi sapori ’70 e soprattutto ‘Carnival’, un Neil Young inedito e mai sentito prima che lungo gli otto minuti di durata ne combina di tutti i colori aggirandosi beffardo come un pazzo tra la sabbia del deserto, un luna park e il tendone di un circo, dove veste i panni di Carlos Santana a Woodstock, fa il verso a Dr. John tra percussioni latineggianti e rallentamenti a ritmo di valzer, e il tutto è molto psichedelico e sembra datato 1969. Sorprendente davvero. In retrospettiva il pezzo per cui The Visitor verrà ricordato in futuro.
Cosa dire? Ormai ad ogni uscita discografica io dico solo: questo è Neil Young, prendere o lasciare.
" Diretto verso il sole, ero grato di essere vivo e sulla strada di casa", così Neil Young chiude il suo libro Special Deluxe e così lo immagino ancora una volta: un uomo vivo (come chiamereste voi, un uomo con così tante idee?), con lo sguardo proiettato sempre in avanti (come spieghereste voi, un uomo così impegnato e fortemente convinto delle sue battaglie?) e nonostante tutto rassicurante come la strada più conosciuta, quella che ci porta verso casa.
★★★ 1/2 (5)



RECENSIONE: NEIL YOUNG-A Treasure (2011)
RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE- Americana (2012)
RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Psychedelic Pill (2012)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Live At The Cellar Door (2013)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Storytone (2014)
NEIL YOUNG & CRAZY HORSE live @ Barolo, 21 Luglio 2014
RECENSIONE: NEIL YOUNG + PROMISE OF THE REAL-The Monsanto Years (2015)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Bluenote Cafè (2015)
RECENSIONE: NEIL YOUNG +PROMISE OF THE REAL-Earth (2016)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Peace Trail (2016)
NEIL YOUNG: gli ANNI 2000
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker (2017)


DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 51 : NEIL YOUNG & CRAZY HORSE (Re-Ac-Tor)

NEIL YOUNG & CRAZY HORSE   Re-Ac-Tor (1981)




 L’aver trovato questo vinile giù, nello scaffale più basso, nascosto tra le offerte a due euro di un negozio di dischi, in mezzo a tante meteore canterine degli anni ottanta, e dopo aver sacrificato ginocchia e schiena per scovarlo, la dice tutta sulla dura vita a cui RE-AC-TOR è andato incontro dal 1981, anno d’uscita, fino a oggi. Una metafora calzante. Purtroppo vera, anche se per molti non lo sarà. Un disco spesso dimenticato, anche dal suo autore, che quando uscì lasciò l’amaro in bocca ai fan della prima ora, ancora ignari dell’imminente e bizzarro futuro, anche ben peggiore di questo, che li stava aspettando. RE-AC-TOR fu solo il primo dei tanti indecifrabili passi in avanti (o indietro?) di Neil Young nel nuovo decennio. Un decennio aperto con HAWKS AND DOVES in verità, dove però recuperava vecchie canzoni scritte anni prima, rimanendo sui binari già frequentati. Qui, tutto è nuovo, registrato in pochissime sedute insieme ai Crazy Horse, ritagliando spazi di vita dall’impegnativo ruolo di genitore che stava prendendo tutto il tempo a disposizione, giustamente: Neil Young e la moglie Pegi sono impegnati con il piccolo figlio Ben, nato con seri problemi cerebrali. Il suo programma di riabilitazione è duro e richiede una presenza fissa e costante. Bravo Neil!
Nasce così RE-AC-TOR, un disco diretto, sbrigativo e quasi raffazzonato, imbottito di sovraincisioni bizzarre aggiunte da Young ma che furono poi mal digerite dai restanti Crazy Horse a lavoro finito, ma da quel taglio hard rock e cazzuto in grado di dare una direzione ben precisa a tutto il lavoro. La sua salvezza. Un muro di chitarre dall’inizio alla fine. Minimale nei testi e nella musica. Testi criptici e slogan, apparentemente senza senso, ripetutti all’infinito quasi come dei mantra: ormai da antologia quel “Got Mashed Potatoes, Ain’t Got No T-Bone” uniche parole presenti nei nove minuti di ‘T-Bone’. "La notte che l’abbiamo registrata non è successo nient’altro. Avevo appena scritto il testo della canzone e abbiamo registrato il tutto quella notte. Una cosa da buona alla prima. Sembra che il testo fosse nella mia mente. È molto ripetitivo, ma io non sono un tipo così inventivo. Pensavo che quelle due linee fossero buone...." Neil Young.
Pure nel retro copertina campeggia una scritta in latino (La preghiera della serenità) che solo in retrospettiva diventerà più nitida e chiara. RE-AC-TOR suona come RUST NEVER SLEEPS senza il lato acustico e con meno ispirazione nei testi, anche se almeno il lato B presenta qualche canzone da ricordare (nel lato A ‘Surfer Joe And Moe The Sleaze’ è la migliore): il galoppante treno in corsa di ‘Southern Pacific’ ("L'ho composta con la chitarra dobro. Avevo in mente il rumore di un treno"), ripresa recentemente dai Del Lords nel loro ritorno discografico, il country rock tutto macchine e motori di ‘Motor City’, il blues di ‘Rapid Transit’, sebbene abbia un testo abbastanza insulso e Neil Young lo canti strascicando le parole, e la finale ‘Shots’, che sembra riacquistare l’antica epicità di vecchie canzoni, piena di feedback, salvo poi perderla in pesanti sovraincisioni, dove compare per la prima volta il Synclaver che diverrà protagonista dal successivo TRANS. La Reprise non gradirà e da qui inizierà un nuovo cammino discografico fatto di dischi uno diverso dall’altro. Intanto, oggi, RE-AC-TOR rimane uno dei migliori testimoni del connubio Young-Crazy Horse. Un disco spesso sottovalutato e nascosto appunto. Ecco le mie ginocchia! Quando Neil Young entrò sì in studio, ma la sua testa era da altre parti. Parti che influenzeranno pesantemente il risultato finale. A fine disco si percepisce, ma questo diverrà il valore aggiunto. Anche di tutta la carriera. La spontaneità a Neil Young non è mai mancata: nel bene, nel male e nelle vie di mezzo come questo disco. Amo i dischi di serie B. Ma poi, è di serie B veramente?



PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #48:STEVE FORBERT-Alive On Arrival (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #49:CRY OF LOVE -Brother (1993)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #50:THE BLACK CROWES-By Your Side (1999 )

 

venerdì 24 novembre 2017

RECENSIONE: AMERICA (Heritage: Home Recordings/Demos 1970-1973)

AMERICA  Heritage: Home Recordings/Demos 1970-1973   (Omnivore, 2017)




Mi sciolgo con poco. Prendete gli AMERICA, una delle prime band ascoltate e amate tra i miei sei e dieci anni, raccogliete sedici tracce (occhio alla traccia nascosta: una versione a cappella del loro maggior successo ‘Horse With No Name’) recuperate tra demo, inediti e provini risalenti al primissimo periodo della band e farete di me un uomo contento come pochi.
HERITAGE: HOME RECORDINGS/DEMOS 1970-1973 esce per l’ etichetta Omnivore e grazie alla collaborazione dei due membri Gerry Beckley e Dowey Bunnell (sue le parole di presentazione nello scarno booklet interno)-purtroppo il terzo componente Dan Peek, uscito dal gruppo nel 1977, ci ha lasciato nel 2011- recupera preziose testimonianze risalenti al periodo immediatamente precedente la realizzazione del primo album uscito nel 1971, del secondo HOMECOMING (tra cui spicca una bella versione di ‘Ventura Highway’) e del terzo HAT TRICK, più 'Monster', canzone poi inclusa su HARBOR del 1977. "Avevamo 17, 18 e 19 anni quando incominciammo seriamente a scrivere queste canzoni nel 1970." Racconta Bunnell.
Alcune sono versioni embrionali di canzoni che finiranno sul debutto (‘Riverside’, Rainy Day’ ‘Satan (Donkey Jaw)’, altre inediti come ‘James Holladay’ e ‘Sea Of Destiny’ registrate a Londra al Chalk Farm Studio quando erano solamente tre giovani ragazzi dal futuro ignoto, figli di tre militari statunitensi in servizio nel TRegno Unito che scelsero di chiamarsi America dopo aver visto un jukebox "Americana" in una caffetteria, e la bella ‘Mitchum Junction’ registrata ai Buzz Studios di Los Angeles nel 1972.

Ci sono idee abbozzate ( la breve ‘When I Was Five’), canzoni fatte e finite, molte verranno arricchite nei passaggi successivi in studio. Tutto molto grezzo e spartano (alcune canzoni sono monche, spesso si sentono rumori e le voci in studio) ma abbastanza per mettere in fila le loro principali influenze (Crosby, Stills & Nash, Neil Young, i Beatles), il loro folk rock dalle impeccabili melodie pop e a ruota il mio cuore affamato di musica, tenuto presto a battesimo dai loro dischi.



AMERICA: Back Pages (2011)
AMERICA: Silent Letter (1979)
AMERICA: Homecoming (1972)
GERRY BECKLEY-Carousel (2016)



lunedì 20 novembre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 50: THE BLACK CROWES (By Your Side)

THE BLACK CROWES   By Your Side (1999)






Sabato 10 Luglio 1999: una bufera di pioggia si scatena sul Monza Rock Festival. Alcuni gruppi in scaletta saltano ma vengono spostati al giorno successivo. Un po’ esulto, che diamine non può andare sempre di sfiga. Io avevo scelto quel giorno successivo! I principali sono Aerosmith e Litfiba (con l’ultimo concerto di Piero Pelù in formazione). Lo vengo a sapere il giorno dopo, appunto: io ero lì principalmente per i Black Crowes e il loro set sarà incastonato in mezzo tra la band di Boston e quella di Firenze. Posizione strategica. Gli Aerosmith fanno un gran concerto pescando bene nel passato, quello dei Litfiba è abbastanza penoso, mettendo in risalto una band ai ferri corti che giunge al termine dei propri impegni per contratto. E i Black Crowes? I Black Crowes si presentano sul palco esattamente come si vedono nella copertina del nuovo disco che stanno per presentare live. Un disco che già adoravo. Il pubblico sembra distratto. Gli Aerosmith hanno appagato i rocker, i fan dei Litfiba sono in spasmodica trepidazione. I Black Crowes fanno un gran concerto, certo penalizzato dai tempi ristretti, ma per quel che ricordo, alla fine, conquistano sia i rocker appagati quanto il pubblico distratto di Pelù. Per gli amanti delle statistiche ho recuperato la scaletta: ‘No Speak No Slave’, ‘Go Faster’, ‘Stare it Cold’, ‘Go tell the Congregations’, ‘Sting Me’,‘Heavy’, ‘Hard to Handle’, ‘Kicking my Heart Around’, ‘Virtue and Vice’, ‘Jealous Again’, ‘Remedy’. BY YOUR SIDE uscì dopo un periodo poco felice: THREE SNAKES AND ONE CHARM non esaltò troppo, arrivando dopo un disco monstre come AMORICA, Marc Ford e Johnny Colt escono dal gruppo, c’è pure il cambio di etichetta discografica con il passaggio alla Sony.
Tanti voltano le spalle. Eppure BY YOUR SIDE, ben prodotto da Kevin Shirley, spesso dimenticato ma presentato da una copertina mai così glam e glitterata, è un disco scalpitante, certamente il più accessibile in discografia, che si impossessa maggiormente della parte più british della loro musica: quella legata al rock blues dei Led Zeppelin , degli Stones, di Rod Stewart e i suoi Faces e la mischia con il suono nero americano. ‘Go Faster’ e ‘Kickin’ My Heart Around’ fanno muovere il culo e battere i piedi fin da subito: rock’n’roll senza freni e sezione ritmica a palla (Steve Gorma e Sven Pipen i protagonisti). ‘By Your Side’ è la canzone che Jagger e soci non fanno da trent’anni. ‘HorseHead’ ha i riff di Keith Richards benedetti sotto l’acqua santa dei cori gospel. ‘Only A Fool’ è una ballata soul condotta dai tasti del povero Eddie Harsch e dai fiati. ‘Heavy’ mischia le due anime del disco: da una parte il rock, dall’altra il R&B. ‘Welcome To The Goodtimes’ è tra gli episodi più inusuali ma riusciti del disco: Rod Stewart meets New Orleans e la voce di Chris Robinson ne esce vincitrice. Un piacere incontrarvi. Il fratello Rich Robinson rimane solo al comando delle chitarre e in ‘Then She Said My Name’ va giù duro prima di arrivare al bel finale di ‘ Virtue And Vice’ con ancora Harsch protagonista. “Gotcha Moving, Gotcha Moving…Keep You Rolling” ancora da capo.


PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #48:STEVE FORBERT-Alive On Arrival (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #49:CRY OF LOVE -Brother (1993)

 

martedì 14 novembre 2017

RECENSIONE: BILLY BRAGG (Bridges Not Walls)

BILLY BRAGG-Bridges Not Walls (Cooking Vinyl, 2017)







BILLY BRAGG sorseggia il suo amato the caldo e non le manda a dire. Non lo ha mai fatto. Con i grandi del rock che sembrano sempre meno interessati a quello che capita intorno a loro nel mondo (non tutti fortunatamente), Bragg rimane coerente con il percorso di tutta la sua carriera e butta fuori un istant Ep di sei canzoni (22 minuti) dal titolo significativo BRIDGES NOT WALLS, raccolta di sei singoli fatti uscire quest’anno, uno al mese, che raccontano di muri, Trump, brexit, ambiente e razzismo, tra cui spiccano l’iniziale elettrica ‘The Sleep Of Reason‘ (titolo preso in prestito da un’opera di Goya) la splendida cover di ‘Why We Build The Wall’, solo voce e chitarra elettrica, della cantautrice folk americana Anais Mitchell e ‘Saffiyah Smiles’ ispirata dalla foto diventata virale che ritrae una ragazza che usa l’arma del solo sorriso davanti ad un esponente di estrema destra durante la manifestazione anti immigrati svoltasi a Birmingham questo Aprile . Dopo aver girato l’America di stazione in stazione in compagnia di Joe Henry è arrivato il momento di abbattere i muri con l’urgenza comunicativa del folk (e del punk perché no?) e costruire i ponti con il linguaggio musicale più sofisticato (solo pianoforte e voce in ‘Full Exist Brexit’), frutto delle esperienze raccolte in una carriera ormai ultratrentennale che partì proprio con un Ep LIFE’S A RIOT WHIT SPY VS SPY nel lontano 1983 in piena era Thatcher. Poco sembra essere cambiato. “È la tragedia dell’essere un cantautore politico, le tue canzoni tendono a ritornare…” raccontò in una intervista a Rumore questa primavera. Unico e combattivo come sempre.


RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)

lunedì 13 novembre 2017

L.A. GUNS live@Circolo Colony, Brescia, 11 Novembre 2017

L.A.GUNS live @Circolo Colony, Brescia, 11 Novemvbre 2017

Se togliessimo i cellulari in sala, l’impressione è quella d’ essere tornati nel 1988, anno d’uscita del loro primo e inarrivabile disco, o almeno nel 2000 anno in cui il cantante Phil Lewis e il chitarrista Tracii Guns collaborarono per l’ultima volta. Una reunion che ha finalmente messo un po’ d’ordine, e di pace, nella incasinata carriera dei L.A.Guns e un disco fresco di stampa THE MISSING PEACE appunto, onesto e per nulla nostalgico che ha consolidato il tutto. Già dalla intro scelta dalla band, l’epica ‘Diary Of A Madman’ di Ozzy Osbourne, si capisce che sarà una serata come ai vecchi tempi ma tutt'altro che nostalgica: la partenza con l’ultima ‘Devil Made Me Do It’ lo ribadisce. Volumi alti, altissimi davanti in transenna (ci si sposterà dietro per godersi meglio il tutto), e tanto rock’n’roll. Tutti in grande forma: Phil Lewis ha sessant’anni ma si mangia fisicamente l’odierno Axl Rose (cinque anni più giovane) in un solo boccone, Tracii Guns dispensa sorrisi e assoli in contemporanea e sembra ben ripreso dal non specificato malore che ha fatto cancellare la data romana di pochi giorni fa, il secondo chitarrista Michael Grant è la vera grande sorpresa della serata e lo spazio centrale del concerto è tutto suo con una interpretazione di ‘Purple Rain’ di Prince che rasenta la perfezione per pathos ed esecuzione, ottimo veramente, il bassista Johnny Martin, gambe eternamente divaricate sembra uno dei fratelli Ramone rimaterializzatosi improvvisamente sul palco, il batterista Shane Fitzgibbon picchia duro dall’inizio alla fine. E via di ‘Bitch Is Back’, ‘Reap And Tear’, ‘Malaria’, ‘No Mercy’, ‘Ballad Of Jayne’, ‘Over The Edge’…E un raggio di sole torna a splendere dopo le focose e viziose nottate sul Sunset Strip. Le insegne si spengono e si fa giorno. Ma poi, visto che siamo nel 2017 e ci sono i cellulari: tutti con le mani alzate che la band ci vuole fotografare dal palco. Serata hot.




SETLIST
The Devil Made Me Do It
Electric Gypsy
Over the Edge
Bitch Is Back
Sex Action
The Flood’s the Fault of the Rain
Speed
One More Reason
Kiss My Love Goodbye
Purple Rain
Malaria
Guitar Solo
Never Enough
Jelly Jam
The Ballad of Jayne
No Mercy
Rip and Tear


 

lunedì 6 novembre 2017

NICK CAVE and The BAD SEEDS live@Kioene Arena, Padova, 4 Novembre 2017



appunti
NICK CAVE si confonde tra il suo pubblico, si fa quasi inghiottire: questo il finale del concerto. La sublimazione di una serata condotta come una cerimonia: la camminata messianica nel parterre di pochi attimi prima era solo il preludio, anche se sul momento sembrava l’atto finale e poteva esserlo alla grande. Una scelta avventata, per certi versi pacchiana (forse la presenza in video del soprano in ‘Distant Sky’ lo era di più) che ha spezzato nettamente l’atmosfera del concerto, costruita con meticolosità fino a quel momento: suoni pazzeschi, Bad Seeds perfetti, e il bilanciamento chirurgico tra il rapimento delle ballate, comunque in maggioranza, da velluto rosso pop (‘Into My Arms’) e gli scatti feroci dei pezzi più tirati con un Warren Ellis scalciante e posseduto (‘The Mercy Seat') . Un finale che, bisogna dirlo francamente, poteva essere migliore. Un venite a me, che il giorno dopo però, assume il suo vero significato. Cave aveva due modi per sopravvivere: chiudersi mantenendo le distanze, come suggerito da SKELETON TREES o darsi totalmente più di quanto fatto fino a quel momento, sacrificando pure le due canzoni di congedo ('Stagger Lee, 'Push The Sky Away'), perse completamente in mezzo al caos della bolgia. Farci sentire il suo cuore che fa “boom boom boom” non gli bastava più. Dovevamo mangiarlo. Quel “mi sono letteralmente sentito salvato dal pubblico” ha trovato compimento fisico in quel finale totalizzante, caotico anche se surreale. Ma salvifico.

momenti da ricordare
Il trittico 'From Here To Eternity', 'Tupelo', 'Jubilee Street' rimane il momento più intenso da impacchettare e portarsi a casa come ricordo duraturo.
punto a favore
Nick Cave crede fortemente nei suoi ultimi lavori, soprattutto all'ultimo cupo SKELETON TREE, nato dopo la morte del figlio Arthur, su cui ruota l'intero concerto. Per un artista che potrebbe campare benissimo sul passato è certamente segno di grande vitalità.
momenti da dimenticare
Quella vitalità artistica che sembra avere un calo spaventoso nel finale, quando Cave diventa più cerimoniere per se stesso che cantante e tutto ciò che fino a pochi attimi prima era intenso e ipnotico, diventa caotico e irrazionale. La band scompare letteralmente dietro ai fan chiamati sul palco, la concentrazione svanisce e quelli che dovevano essere i brani finali, l'apoteosi, diventano un indistinguibile marasma. Forse l'esagerazione che ci pone un amletico interrogativo: si apre un nuovo capitolo per Nick Cave?







SETLIST
Anthrocene
Jesus Alone
Magneto
Higgs Boson Blues
From Her to Eternity
Tupelo
Jubilee Street
The Ship Song
Into My Arms
Girl in Amber
I Need You
Red Right Hand
The Mercy Seat
Distant Sky
Skeleton Tree
The Weeping Song
Stagger Lee
Push the Sky Away