giovedì 29 giugno 2017

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES (To The Top)

BLACKFOOT GYPSIES    To The Top (Plowboy Records, 2017)




Le cose si fanno bene o non si fanno. Anche quando le cose odorano di vecchio, stantio e si presentano polverose e derivative. I BLACKFOOT GYPSIES da Nashville, nati inizialmente come duo, giunti al terzo disco diventando quattro, lo sanno bene e alle note vecchie e arrugginite aggiungono una buona dose di carica, ad...renalina e un pesante colpo di spugna fresca, tanto da far apparire tutto come nuovo e scintillante. Così se mentre faccio girare queste quindici ruspanti tracce (per 60 minuti) pensando ai Kinks (‘I’M So Blue’), a Chuck Berry (‘Promise To Keep’), a Bo Diddley (Gypsies Queen), al Bob Dylan (“ci piace molto Dylan” confessano) più rurale legato a The Band (‘Woman Woman’,’Potatoes And Whiskey’, il country walzer ‘Velvet Low Down Blues’ è dedicata a Lou Reed -“siamo tutti grandi fan di Lou Reed e dei Velvet Underground. Questa canzone è per Lou Reed ed è stata scritta il giorno dopo la sua morte”- ), senza riuscire a tenere fermo il piedino, loro avranno già portato a casa la partita e mi allungano un bicchiere di vino per darmi il benvenuto nella loro personale American Church of Rock’n’Roll. Cheers! Il frontman Matthew Paige alla chitarra e voce, Dylan Whidow al basso, il nuovo acquisto ma veterano della scena di Nashville Ollie Dogg all’armonica, Zack Murphy alla batteria sanno come divertirsi con il blues (‘I’ve Got The Blues’), il funk con quei cori viziosi alla Rolling Stones (‘Everybody’s Watching’), il garage marcato Detroit style con le chitarre elettriche davanti (‘I Wanna Be Famous’, 'I Had A Vision'), il New Orleans sound con tanto di fiati (‘Back To New Orleans’), il southern rock vitaminico caro ai primi Black Crowes (‘Can I Get A Warning’) e lo fanno registrando in presa diretta come fosse un concerto piazzato dentro a un festival a cavallo tra i sessanta e i settanta. A proposito di live: lì sembrano dare il meglio, lo confermano le date negli Stati Uniti in apertura a Alabama Shakes e Drivin’ N’Cryin. Non ci si stanca nemmeno per un secondo. Potrebbe sembrare una botte troppo ricca e dispersiva, ma questo vino è troppo buono per lasciarlo diventare aceto!





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