venerdì 30 ottobre 2015

RECENSIONE: RYAN ADAMS (1989)

RYAN ADAMS 1989 (2015)






Ryan Adams continua a correre sopra quel sottile muro che divide la genialità dallo strapiombo delle inutilità. Quante perplessità serpeggiano tra le sue mosse discografiche più azzardate messe in mezzo ai suoi tanti dischi (chiamiamoli normali), anche i migliori. Ci ha abituato a tutto: da album hip hop sotto strani pseudonimi ai dischi metal oriented (sua grande passione nascosta, ma non troppo) seguendo le orme dei canadesi Voivod (vi ricordate di ORION?) fino a 1984 dell’anno scorso, omaggio ai suoi eroi punk/hardcore ‘80. Qui non si parla di una sola cover, isolata, magari nascosta in mezzo a sue composizioni. E di scelte bizzarre ne ha fatte pure tante: da Madonna (‘Lucky Star’) agli Oasis di ‘Wonderwall’. No. Qui non si tratta nemmeno di un omaggio a qualche vecchio eroe folk dismesso o rocker passato a miglior vita. 1989 riprende per intero, track by track, il disco della popstar statunitense Taylor Swift. E 1989 non è un disco vecchio, magari già entrato nella cultura popolare, 1989 è uscito solo l’anno scorso. Ha però venduto tantissimo ed ha rappresentato la candidatura della giovane ventiseienne (sì è del 1989) a nuova regina pop USA. Quando la Swift ha saputo del progetto sembra si sia commossa, ringraziando Adams non solo per l’omaggio ma per l’ispirazione che è stata la decisiva spinta verso il mondo della musica. I suoi inizi profumavano, appena appena, di country. Adams, a sua volta, ha ammesso di essere un grande fan della Swift. Tutti contenti quindi.
Io, invece, ammetto di non conoscere assolutamente i dischi della Swift, ma queste canzoni così rifatte sembrano già funzionare benissimo. Se siete fan di Adams apprezzerete. Se lo detestate, questa mossa va nuovamente a vostro favore. Adams ha trasformato le accecanti luci delle mirror ball da discoteca in fioche lanterne che illuminano dolenti ballate e brani rock freschi e dal taglio pop ma non troppo. E’ chiaro l’intento di richiamare in gioco il rock degli eighties: ci sono gli Smiths (è lo stesso Adams a dirlo), i REM, c’è il Paisley Sound. Ci sono i grandi cantautori: da Springsteen a Mellencamp. Un gioco? Uno sfizio? Un vero e sentito omaggio? Non si capisce bene. Ryan Adams ha sempre fatto di testa sua. La sua testa NON è cosa facile da decifrare, ma ha quasi sempre avuto ragione lui.
 
 
 
 
 

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