lunedì 1 settembre 2014

RECENSIONE: MARK LANEGAN BAND (No Bells On Sunday)

MARK LANEGAN  BAND No Bells On Sunday (Flooded Soil/Vagrant Records, 2014)



Non so più come leggere i suoi dischi. Forse bisognerebbe limitarsi ad ascoltare e basta, ma anche questo è diventato un problema vista la massa di canzoni che Mark Lanegan ha riversato sui fan negli ultimi due anni, investito da una bulimia difficilmente controllabile: il più che ottimo Blues Funeral (2012), album vario e coraggioso nel cercare ed esplorare impervie vie elettroniche senza risultare troppo demodè, Black Pudding (2013) con Duke Garwood, una immersione a due nel folk in punta di piedi, la seconda trance di cover in Imitations (2013), viaggio nella sua memoria  fanciullesca, l'inaspettato EP natalizio Dark Mark Does Christmas (2012), dissacrante e riuscito passatempo. E dire che l'anno lo aveva fatto partire più che discretamente con la doppia raccolta Has God Seen My Shadow? An Anthology 1989-2011, arricchita da ben dodici e scuri inediti. Nonostante l'annuncio, l'uscita del nuovo disco Phantom Radio, prevista in autunno (21 Ottobre), sembrava ancora abbastanza lontana per assimilare tutto e riprendere fiato. Ma al Lanegan targato 2.0 piace intasare il mercato e soffocarci. Se questo anticipo di cinque canzoni è solo un divertissement aspettando l'uscita autunnale dell' intero disco, il tutto si può considerare quasi piacevole e sopportabile (sempre nei limiti degli umori "laneghiani", ancora cupi e invischiati nelle acque torbide della vita), se invece vuole essere un assaggio e la linea guida delle prossime canzoni, ci sarà da preoccuparsi un pochino. Il troppo stroppia se non è supportato da un'ispirazione costante e tarata sull'ottimo, ma lo stakanovismo lavorativo prevale su tutto, anzi non accenna a diminuire "adoro lavorare, anche se scrivere e registrare canzoni non lo considero un lavoro".
Lanegan estremizza il lato elettronico presente in Blues Funeral, posseduto da una enfatuazione per Echo And The Bunnymen, Gun Club, Rain Parade come lui stesso ha ammesso, il dubbio che siano scarti di quest'ultimo rimane, salvo poi arrendersi alla realtà: sono scarti del prossimo disco. Ma non era meglio farli uscire dopo? Aumenta l'uso di synth (se fossino ancora negli '80 i rocker girerebbero alla larga) giocando e abusando con il trip hop, usa  marchingeni moderni (applicazione per smartphone chiamata Funkbox) e a risentirne maggiormente è la malata profondità umana delle sue canzoni, percettibile solamente nella persistente tenebrosità post biblica dei testi. Di Leonard Cohen però, ne esiste già uno. Se Sad Lover è un martellante electro rock '90, la più convincente ed esuberante nella sua linearità dritta e sparata, l'inconseuta Jonas Pap si piazza come il suo contraltare folk e minimale. Nel resto il blues diventa contorno sbiadito e la sola inarrivabile voce non basta più a sollevare la noia musicale di tracce lunghe e pedanti (Dry Iced, Smokestick Magic che raggiunge addirittura gli otto minuti). Canzoni allungate come un elastico che quando ritorna in posizione è sfatto e da buttare, arriva pure qualche sbadiglio di troppo, e calcolando che sono solo cinque canzoni, non è cosa bella.
L'unica certezza-e da fan mi spiace pure dirlo- è l'inutilità di questo EP che si trova solo in versione vinile 12 pollici, per ora. EP che avrei bypassato a favore di qualche mese sabbatico (chiedere un anno sarebbe troppo). Il riposo fa bene. Comunque sia, ci si rivede in autunno.




vedi anche
RECENSIONE: MARK LANEGAN-Blues Funeral (2012)
RECENSIONE: MARK LANEGAN-Dark Mark Does Christmas  (2012)
RECENSIONE: ANDI ALMQVIST-Warsaw Holiday (2013)

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