lunedì 26 maggio 2014

RECENSIONI: CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD(Phosphorescent Harvest) THE CADILLAC THREE(Tennessee Mojo) WHISKEY MYERS (Early Morning Shakes)


CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD Phosphorescent Harvest (Silver Arrow Records, 2014)


Dovessi dividere la loro produzione in una ipotetica trilogia, non avrei dubbi nell'assegnare al primo disco Big Moon Ritual  il compito di rappresentare l'universo incontaminato, l'ignoto, al secondo The Magic Door la terra e le radici, a questo terzo l'acqua, la fluidità. Indispensabile, più limpido e leggero ma sempre sfuggente in qualche modo. Con i Black Crowes nuovamente in pausa (sembrano sempre arrivati in dirittura finale ma rinasceranno sempre come una fenice "non so nulla dei Crowes in questo momento" dice Robinson) dopo averne saggiato la buona forma nel tour dello scorso anno, passato anche in Italia, Chris Robinson e l' altra sua congrega arrivano al terzo disco dimostrando di essere una squadra compatta a tutti gli effetti e non più un progetto estemporaneo o uno sfogo liberatorio come potevano esserlo solo un paio di anni fa, quando tutto prese il via. Se i primi due furono quasi un parto gemellare, figli dello stesso mood live e immediato sui cui posavano le radici della loro nascita, con il cantante assurto a ruolo di padre solitario e capo banda, questo nuovo "raccolto" è un lavoro di squadra a tutti gli effetti, costruito negli studi di registrazione Sunset Sound di Los Angeles, ancora con il produttore Thom Monahan, e lavorato in modo estremamente spensierato (la contagiosa e divertente opener Shore Power sembra lì a dimostrarlo) ma ancora una volta con le lancette del tempo ferme e immobili tra '60 e '70 (About A Stranger continua a strizzare l'occhio a Gerry Garcia dei settanta) . Neal Casal, sempre libera e fantasiosa la sua chitarra, è diventato il  nuovo imprescindibile partner ideale (anche nella stesura dei pezzi) e il tastierista Adam Macdougall si sta ritagliando sempre maggior spazio, le sue fantasiose macchinazioni aprono, chiudono e diventano protagoniste nel mezzo. Voli pindarici (lo space strumentale Humboldt Windchimes presente come bonus track), psichedelia, inflessioni prog (Burn Slow), lunghe camminate rurali (Wanderer's Lament, Tornado), tempi ed umori cangianti (Jump The Turnstiles) in un disco a tratti più leggero e immediato rispetto ai due precedenti con Robinson che aggredisce e incide meno, preferendo l'arte dell'addolcire la portata, dell'accompagnare senza ferire.
Per qualcuno è già diventato l'anello debole dei tre dischi usciti, per me è solamente una delle tante vie che questa band è in grado di percorrere: assecondando l'assoluta libertà, la versatilità, la spontaneità, l'alchimia perfetta tra i componenti, totalizzante amore per la musica come poche altre band sono in grado di regalarci al giorno d'oggi. Meno classificabile e forse sì, più pasticciato, ma averne. Nessun calcolo e tanto cuore, cementato e tenuto insieme da chilometri e chilometri di strada suonando in lungo e in largo attraverso la California-vero habitat naturale della band-, ogni sera come fosse l'ultima. Noi aspettiamo l'arrivo del loro tour bus in Italia.






THE CADILLAC THREE Tennessee Mojo (Big Machine Records/Spinefarm Records)


Puzzo di gasolio dalla stazione di servizio, aroma di whiskey che impregna il consumato bancone del bar e odor d'erba verde appena falciata proveniente dai campi limitrofi alla highway. In mezzo ci sono i The Cadillac Three, perfettamente a loro agio tra le vibrazioni elettriche del southern, le sciabolate hard e le passeggiate rurali e stonate nel country (Whiskey Soaked Redemption, White Lightning). Un gruppo che starebbe bene anche tra l'ispirata ondata di southern revival che ha inondato il periodo a cavallo tra gli anni ottanta e i primi anni novanta ( Georgia Satelittes, Mother Station, Black Crowes e Raging Slab ) e i grandi pionieri del genere che hanno segnalato la strada nei seventies. Insomma, latente originalità salvata da una spiccata attitudine, tanto genuina e ruspante (l' honky tonk Turn It On) da salvare un disco con poche idee originali ma tenuto in piedi dalla forte passione e dalla molta grinta (I'm Rockin').
Si fanno ascoltare e vanno giù che è piacere fin dalla tosta apertura I'm Southern, un titolo programmatico ed un chorus che rimane in testa. Una sigla d'apertura perfetta. Pochi fronzoli e tanta sostanza. Un trio formato dal cantante e chitarrista Jaren Johnston, il bassista Kelby Ray e il batterista Neil Mason, vengono da Nashville e si conoscono fin dai tempi del liceo, anche se per venire fuori hanno faticato le proverbiali sette camicie. Orgogliosamente fieri e con tutto il futuro davanti.





WHISKEY MYERS Early Morning Shakes (Wiggy Thump Records, 2014)

Le terre del sud vanno innaffiate a scadenza regolare: per preservare gli antichi tronchi capostipiti ma anche per far crescere nuovi germogli. Almeno ogni decade ha il suo buono. Ultimamente, buoni rami si sono espansi e dopo i sublimi e bucolici Blackberry Smoke (cercate il loro The Whippoorwill) e i più tosti e ruspanti Hogjaw, dalle parti di Palestine nel Texas sono cresciuti questi nuovi figli della bandiera confederata, protetti dagli spiriti dei primi Lynyrd Skynyrd, sporchi quanto basta per preferirli ai giovani e talentuosi Black Stone Cherry, gruppo partito benissimo ma successivamente condannato dai mass media a quel ruolo da "nuovi eroi" che sembra portare più danni che benefici alla loro musica sempre più compiacente verso il grande pubblico.
Al terzo disco, i Whiskey Myers, invece, mantengono intatta la freschezza compositiva e riescono a focalizzare al meglio tutte le loro potenzialità: con la sontuosa voce del cantante Cody Cannon a fare la differenza, con episodi potenti ed enfatici dominati dalle classiche tre chitarre tre (Dogwood, Home, Hard Row To Hoe), con viziosi honky tonk (Wild Baby Shake Me), epiche ballate (Reckoning, Lightning), ma anche con qualche concessione melodica più marcata come Shelter From The The Rain, roba buona per farsi conoscere anche a chi non calpesta le loro terre. Classici, ma il genere non richiede altro.




vedi anche
RECENSIONE: CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD-Big Moon Ritual (2012)
RECENSIONE: CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD-The Magic Door (2012)
RECENSIONE: BLACKBERRY SMOKE-The Wippoorwill (2012)
RECENSIONE: MARC FORD-Holy Ghost (2014)
RECENSIONE: TOM PETTY & THE HEARTBREAKERS-Hypnotic Eye (2014)





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