martedì 29 aprile 2014

RECENSIONE: MICHAEL McDERMOTT & THE WESTIES (West Side Stories)

MICHAEL McDERMOTT & THE WESTIES  West Side Stories (Appaloosa/IRD, 2014)



Altro bel colpo della rinata etichetta italiana Appaloosa, un' attestato di fedeltà verso Michael McDermott che sancisce in modo definitivo il matrimonio tra il cantautore di Chicago e l'amata Italia. Lui ci aveva già pensato sposando nel nostro paese, circondato da tanti amici, la moglie Heather Horton, e incidendo la canzone Italy due anni fa. Questa volta McDermott non si presenta da solo ma con un gruppo: The Westies. Nome della band preso in prestito dalla gang irlandese che da fine anni 60 fino a metà anni 80 seminò panico e terrore nella West Side di Manhattan e nata in modo del tutto casuale durante una jam a Nashville. Amore a prima vista tra i musicisti (la moglie Heather Horton alla voce e violino, Lex Price al basso e produttore, Joe Pisapia alle chitarre elettriche, Ian Fitchuk alla batteria, e John Deaderick al piano) e ispirazione nuovamente in moto per scrivere come ai vecchi tempi, a partire dall' iniziale Hell's Kitchen che trae ispirazione proprio dalle malefatte dei Westies per poi allargarsi e fare luce nel buio che investe la mente umana, un' intricata ragnatela di conflitti interni. "Tutto quello che volevo fare era scrivere canzoni e raccontare storie come i miei nonni e i miei genitori hanno fatto con me come nella migliore tradizione irlandese" spiega McDermott nel sito del gruppo.
Venticinque anni di carriera condotti nel retrobottega della musica, scrivendo e raccontando storie come solo i migliori sanno fare ma con il sipario principale sempre ed inspiegabilmente precluso e sbirciato solo di rado, certamente non per demeriti ma per colpa di una generazione monstre che lo ha preceduto e che non molla la presa, come amo spesso pensare difronte all'ondata dei tanti cantautori americani della sua generazione. La compagnia è numerosa: da John Kilzer a Michael Morales, Will T. Massey e tantissimi altri. Insomma, si corre dietro ad una cover degli Havalinas e ci si dimentica per strada una  The Silent Will Soon Be Singing (canzone stupenda del suo ultimo solista Hit Me Back e qui ripresa-intitolata Silent-e messa in conclusione come bonus track). Così va il mondo. Gli anni tormentati e difficili passati a menar pugni ai demoni sono ormai alle spalle e ben esorcizzati dal precedente disco, che dimostrava che il carattere era ancora quello del combattente, di chi ancora deve sgomitare per uscire allo scoperto e trovare una propria identità, lontana da continui paragoni, ma con la saggezza e la tranquillità della maturità e della pace ritrovata. McDermott ha sempre indossato sia il giubbotto di pelle del rocker urbano sia le scarpe consumate del folksinger e lo ha dimostrato fin dall'accoppiata d'esordio 620 W.Surf (1991) e Gethsemane (1993), due tra i migliori dischi di cantautorato americano usciti nei primissimi anni 90. Anche se mai più eguagliati. McDermott, tra alti e bassi, ha ripreso quella buona strada polverosa animata da racconti e anima, quella del working class folk percorsa da Springsteen, Elliott Murphy, Steve Forbert e John Mellencamp, quella dove capita di incrociare piccole storie di vita e raccontarle, dove i meno fortunati diventano protagonisti e gli affetti, gli amori, i sentimenti hanno ancora un valore determinante: anche quando tratteggiano incomunicabilità (Rosie), perdita (Fallen), diventano complicati come canta nella tenue Say It insieme alla moglie Heather, si dipingono anche di nero tra morte e ghigliottina in Death. Tutti si reggono però su una vitale filosofia: " a volte si ha bisogno dell'oscurità per vedere la luce", quella che esce dal filmico viaggio di Bars.
West Side Story-ampliamento dell' EP già edito in America l'autunno scorso-con le sue undici canzoni in scaletta e l'inclusione delle traduzioni in italiano dei pezzi, è un disco che prende forma dal basso, che si priva di ogni orpello strumentale superfluo: tutto è ridotto allo scheletro del folk acustico con i bei ricami di pianoforte e violino che lasciano il giusto spazio alle voci di tutti quelli che credono ci sia ancora qualcosa di positivo a cui aggrapparsi in un mondo impazzito (la bella e già menzionata canzone di redenzione Silent), dei
tanti che vagabondano disperati con una pistola in tasca nella dolente Gun, di quelli che vedono nei treni una metafora di vita appiccicata a stento tra sogno e realtà nella già edita Trains (presente in Hit Me Back con il titolo Dreams About Trains). Tutto va, tutto ritorna. Come i treni. Michael McDermott è tornato con un disco semplice ma di una profondità disarmante.






vedi anche RECENSIONE: MICHAEL McDERMOTT- Hit Me Back (2012)



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