martedì 7 gennaio 2014

RECENSIONE: ELSA MARTIN (vERsO)

ELSA MARTIN  vERsO (autoproduzione, 2012)



Arrivo in ritardo e me ne pento. Elsa Martin sta già lavorando al successore, ne sono certo, e questo disco ha già fatto incetta di meritati riconoscimenti e premi durante l'anno appena trascorso. Avevo scritto la bozza per raccontare il disco, ma avevo messo da parte tutto senza alcun motivo, forse schiacciato da altre uscite discografiche più pesanti (!?!). Un disco perso senza una vera colpa, vittima senza un motivo, ma ora sembra riemerso grazie alla sua limpida leggerezza, ad una positiva bellezza che chiede spazio e visibilità tra i miei ascolti a cavallo tra la fine e l'inizio del nuovo anno, quasi fosse buona e purificatrice acqua di fonte.
Anche perché, quando sono invitato all'ascolto di musica dialettale sono sempre contento. Mi ci perdo. Non importa la regione di provenienza e il genere musicale, quello che conta è quella sensazione di antico, arcano e senza tempo che sembra avvolgermi ogni volta. Quando gli input arrivano da una persona giovane come è Elsa Martin, il piacere raddoppia: a sapere che giovani musicisti si impegnano nel far riemergere il passato, guardano alle tradizioni della terra natia che nel suo caso si chiama Friuli Venezia Giulia, proprio la stessa terra di Luigi Maieron che ho tanto apprezzato due anni fa e che scopro anche abitare in un paesino vicino a quello di Elsa, mi si allarga il cuore, perchè quando per motivi famigliari hai un pezzetto di quell'organo così vitale che batte per conto suo proprio in direzione di quella piccola regione così tanto ad est, il piacere arriva anche a triplicarsi.
Verso è il debutto discografico di Elsa, e arriva dopo una buona gavetta costruita con il duro studio del canto (è anche insegnante e musicoterapeuta) e tanti concerti lungo lo stivale che lei stessa ha documentato così bene e con tanto entusiasmo nelle pagine dei social network nel corso del suo intensissimo 2013. Io stavo in disparte e osservavo.
Elsa Martin riesce a creare quell'ipotetico ponte generazionale tra il passato legato ad antichi canti tradizionali dei suoi luoghi di origine, che in parte affida al Trio vocale femminile di Givigliana (E Io Cjanti, Griot, Al vajve lu soreli, quest'ultima ripresa e calata nel presente da Elsa in  Al vaive ancje il soreli), e il futuro rappresentato dai nuovi arrangiamenti e dalle composizioni scritte di suo pugno con l'aiuto di Stefano Montello e Marco Bianchi. Folk, pop e raffinate partiture jazz (Come Un Aquilone) si intrecciano e dialogano così come il linguaggio usato, equamente diviso tra il dialetto fiulano (O Staimi Atenz, Dentrifur, La Lus) e l'italiano (Calda Sera, Neve), ed una voce piena di sfumature tutte da scoprire, capace di trasmettere ottime vibrazioni, raccontandoci dei meravigliosi misteri della natura tramandati nei secoli, del trascorrere del tempo (Neule Scure), dei luoghi fisici e quelli più introspettivi dell'anima. Un piccolo e delicato gioiellino da riscoprire-per me, rimasto "colpevolmente" indietro, per voi se ancora non la conoscete-costruito, seguendo un valido e ben preciso progetto, da un'autrice giovane, preparata, completamente indipendente, slegata da tutti quei circuiti molto spesso fabbriche di false illusioni poi vendute a buon mercato e di cloni plastificati senza personaltà , qualità che qui non manca ma abbonda in gran quantità.




 vedi anche RECENSIONE: LUIGI MAIERON-Vino, Tabacco e Cielo (2011) 



vedi anche INTERVISTA a LUIGI MAIERON 




vedi anche RECENSIONE: DAVIDE VAN DE SFROOS- Yanez (2011)



Nessun commento:

Posta un commento