martedì 21 gennaio 2014

RECENSIONE: BAP KENNEDY (Let's Start Again)

BAP KENNEDY  Let's Start Again  (Proper Records/IRD, 2014)



La "penna" di Bap Kennedy è una stilografica di valore, di quelle che usi solo nelle buone occasioni per scrivere cose importanti. Quelle parole che devono rimanere nel tempo. E di cose buone e importanti il cinquantenne cantautore di Belfast ne ha sempre lasciate sul foglio bianco, nonostante abbia portato avanti la sua carriera senza i meritati riconoscimenti di pubblico che gli spetterebbero, proprio come una penna di valore tenuta sempre nascosta per paura d'essere consumata dai più. Di bellezza non fa eccezione nemmeno questo nuovo Let's Start Again che esce a soli due anni di distanza dal precedente Sailor's Revenge che gli fu prodotto da Mark Knopfler, forse il picco artistico come autore; fu il perfetto incontro tra la musica americana incrociata fin dall'esordio solista Domestic Blues sotto l'ala protettrice di Steve Earle che lo volle fortissimamente in quel di Nashville-american roots amplificate poi dal personale tributo a Hank Williams-e le sue vere radici celtiche, sviluppate nel passato remoto collaborando con il mentore Van Morrison che ha sempre stravisto per lui fin da quando faceva il "rocker" suonando negli Energy Orchard, sua prima band con cinque dischi in discografia. Sostanzialmente meno brumoso e malinconicamente irish del precedente, questa volta, Kennedy, autore onesto e musicalmente curioso come un vero marinaio dei due mondi, ritorna al suo passato musicale, riabbracciando sì il country ma tornando a registrare nella sua Irlanda Del Nord con l'aiuto in produzione del vecchio amico "ritrovato" Mudd Wallace, e suonando insieme alla fedele band che lo accompagna dal vivo più un nutrito numero di musicisti del posto: la moglie Brenda Boyd al basso, Gordy McAlliser alle chitarre, Rabb Bennett alla batteria, John McCullough alle tastiere, Noel Lenaghan al mandolino, Richard Nelson  alla pedal steel e dobro e John Fitzpatrick al violino.
Semplicità, maturità e stile, abbinate alla romantica positività dei testi, sono caratteristiche che affiorano in ognuna delle undici canzoni che spaziano a tutto campo, rivisitando l'intera carriera: il country da grandi spazi condotto da pedal steel e slide (Let's Start Again, l'up tempo della corale Revelation Blues, la contagiosa leggerezza di un ardente desiderio in Song Of Her Desire), l'amore per il rock'n'roll dei '50 nel doo-woop di If Things Don't Change e Heart Trouble  quasi ad accarezzare il jazz ma con un ispiratissimo violino guida ,il folk a passo di lento valzer (Let It Go), le cullanti e nostalgiche onde radio che pervadono Radio Waves, l'ardente Under My Wing tra caraibi e Van Morrison, e tuffi in atmosfere calienti, tex mex e latine (Fool's Paradise e King Of Mexico che si muove con lo stesso passo de La Bamba) a dimostrazione che la sua "penna" possiede più colori: meno grigi e freschi rispetto al precedente Sailor's Revenge ma più rossi e cocenti.
Degna di nota, infine, la deluxe edition che include un disco in più. Una sorta di greatest hits contenente altre undici tracce scelte tra i suoi vecchi dischi: Domestic Blues, Lonely Street, Howl On, The Big Picture, più due versioni acustiche di Jimmy Sanchez e Please Return To Jesus.
Un disco di altissima classe cantautorale con ancora impresse la freschezza e la vitalità del debuttante ma scritto con la maturità del veterano, e in grado di traghettare, a passo lento ma con qualche lunga falcata, le mie uggiose giornate di questo inverno verso l'imminente primavera.
In uscita il 3 Febbraio 2014.





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