sabato 12 ottobre 2013

RECENSIONE/REPORT LIVE: GRAHAM PARKER live @ Suoneria, Settimo Torinese (TO) 11 Ottobre 2013

"Non fatemi domande". Se proprio volete farne una, chiedetemi come è andata la serata. Volete farne un'altra? Chiedete alla gente là fuori, perché Graham Parker non è mai diventato la grande star che meritava d'essere: veramente tutta colpa delle etichette discografiche? O ha pagato a caro prezzo-quello della impopolarità sulla lunga distanza perché i suoi esordi fecero un grande eco- la sua sanguigna perseveranza nel non scendere a compromessi, infischiandone sempre di tutto e tutti, in primis delle etichette, quelle musicali questa volta. Alla prima domanda saprò rispondervi, all'altra nessuno ci riuscirà; durante la serata anche lo stesso Parker ci scherzerà su, presentandoci ironicamente una canzone (non ricordo più quale) come il suo più grande successo in Italia, la "numero uno" come dice lui simpaticamente, pretendendo le giuste ovazioni  ed esultanze, quelle che si concedono solamente agli evergreen immortali. Costringendoci a bluffare al suo comando.
Abbandonata per una volta la solita "routine" del venerdì sera al pub, mi abbandono tra la musica di qualcuno che in Inghilterra nella seconda metà degli anni settanta, del "pub rock"(che vuole dire tutto e niente, soprattutto oggi) ha fatto il suo vessillo e che i fine settimana li trasformava in esibizioni incandescenti dove rock'n'roll, punk, RnB, soul, pop, reggae e la nascente new wave si univano in una miscela esplosiva di carica, urgenza, energia, sfrontatezza, sudore, romanticismo e genuinità che in quegli anni non avevano tanti eguali. In anticipo sul nascente punk inglese con il suo debutto Howlin'Wind (1976), ma troppo musicista per rientrare in quella scena, è spesso accomunato ad altri due notevoli personaggi del periodo, quasi fossero una sacra triade: Elvis Costello, Joe Jackson e Graham Parker. Parker è lo spirito santo, quello che c'è ma non si vede. Un inglese arrabbiato, romantico e disincantato che sognava l'America, il successo a stelle e strisce. Rimarrà solo un sogno, tanto che perfino Bruce Springsteen (che prestò la sua voce in Endless Night, canzone contenuta nel perfetto The Up Escalator del 1980)  si è spesso domandato il perché di tutta questa indifferenza. Ci andò poi a vivere in America, sul finire degli anni '80.
Alex Seel
2013. Poteva essere il momento giusto per vedere all'opera Parker con i suoi Rumour. Il disco della reunion dopo trent'anni di silenzio, il più che buono Three Chords Good uscito solo l'anno scorso meritava di toccare anche l'Italia. Non è stato così: il sessantaduenne artista londinese, assente dai nostri palchi da una quindicina d'anni, si presenta da lupo solitario (come avvenne già con Live! Alone In America del 1989) in un concerto che non sarà di quelli sudati e tirati come in quei fulminanti esordi, ma quello di un maturo e autoironico signore dal carattere spigoloso limato dal trascorrere degli anni, con tantissimi dischi alle spalle, diciamo pure una infinità-lo stesso Parker scherzerà sulla sua prolificità durante la serata- una voce ancora più caratterizzante e marchiata in positivo dal tempo, tante storie ed un bel presente da raccontare, tanto che l'ultimo disco con  i Rumour è ben rappresentato in scaletta (Stop Cryin' About The Rain, Old Soul, Long Emotional Ride) e fa una buonissima figura incastrato tra i vecchi successi durante i due set (acustico ed elettrico) che hanno dato vita  ai 90 minuti dell'esibizione, preceduta dal talento chitarristico del britannico Alex Seel che ha avuto il tempo di dimostrare la sua bravura di virtuosista in acustico ma anche di compositore gentile, poetico e crepuscolare, dalla voce sognante. Notevole la sua riproposizione di There's A Rhythm di Ron Sexsmith. Spero di sentirne parlare ancora. Merita.
Parker, dal canto suo ci mette poco per conquistare l'audience, dopo Watch The Moon Come Down che apre alla grande, alla terza canzone ha già fatto breccia nei nostri cuori: ringranziando il pubblico-alla fine numeroso e partecipe-che in una serata da tregenda segnata da tuoni, fulmini e secchiate d'acqua, ha abbandonato il tepore domestico per venire da lui nella accogliente e bella sala-a misura di musica-"Combo" del centro polivalente Suoneria di Settimo Torinese, alla porte di Torino e che farà lo stesso, armato di coraggio ma con il sorriso stampato, per fare ritorno a casa. Per tutta la serata le sue spiccate doti ironiche da entertainer usciranno prepotenti, accompagnando le canzoni: vecchi ricordi, divertenti battute su quanto sia difficile suonare il kazoo per un "vecchietto" come lui, strumento che per una canzone, la countryeggiante Last Bookstore In Town, sostituisce l'armonica, sketch sulla personalizzata chitarra elettrica color rosa "la sua parte femminile" dice, sbeffeggia pure i suoni plastificati degli anni ottanta, "grandi anni per il rock" ironizza, imitando con la voce il suono tipico delle batterie "synthetizzate" dell'epoca da cui, alla fine, sono passati tutti, ed esorcizzando il tutto tirando fuori un rock'n'roll alla vecchia maniera estrapolato dal suo album uscito in pieni anni ottanta, Steady Nerves (1985).
Tra il reggae di Problem Child,  una stupenda Lady Doctor, un breve accenno a Here Comes The Sun (i Beatles furono la scintilla primordiale come per gran parte della sua generazione) sul finire di Don't Let It Break You Down,  Life Gets Better, il finale, dopo una breve uscita, è tutto per Heat Treatment, e l'immancabile Don't Ask Me Questions.
Un venerdì da incorniciare, e se mi avete fatto la domanda "come è andata la serata?", vi rispondo con sole tre parole, parafrasando i"tre accordi buoni" nel titolo del suo ultimo album: prezioso, anima e cuore. Ci aggiungo un enorme "rispetto".

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