lunedì 7 ottobre 2013

RECENSIONE: ANDERS OSBORNE (Peace)

ANDERS OSBORNE  Peace  (Alligator Records, 2013)


Una candidatura per la copertina dell'anno se l'è assicurata. Per il disco dell'anno, la lotta è più dura, ma il songwriter e (ottimo) chitarrista Anders Osborne-già abituato a premi e riconoscimenti-ci prova con il dodicesimo disco in carriera, il quarto consecutivo uscito per la Alligator Records, prodotto insieme a Warren Riker: undici canzoni multiformi e piacevoli, da centro al primo ascolto, che seguono a breve distanza il recente buonissimo EP acustico Three Free Amigos uscito a inizio anno. Un buon periodo di vita che lo stesso cantautore svedese, di casa a New Orleans da più di venticinque anni, indica come uno dei più solari e "cool" della carriera: "la pace è la luce dalle tenebre. Sto scrivendo da una prospettiva più luminosa. C'è meno crepuscolo e oscurità, molta più luce solare. I risultati sono più grandi di quanto mi aspettassi...". Difficile contraddirlo. Bastano le due tracce iniziali per verificare la marcata eterogeneità del lavoro e di una carriera tutta: l'iniziale elettro-acustica Peace, sembra portata a riva dalle stesse profonde onde chitarristiche di Neil Young che bagnavano acidamente On The Beach, la stessa chitarra istintiva ricama i sette epici minuti necessari a Osborne per  ritrovare la tanto agognata pace interiore che va cercando e che ci conducono alla successiva e ugualmente autobiografica 47 (i suoi anni), canzone lanciata come singolo che, come tale, viaggia tranquilla sul rassicurante groove funk, anche un po' gigione, puntellata dalla suadente voce, fino all'assolo di chitarra piazzato nel finale. La vocalità sardonicamente soul (Let It Go), la sempre presente e ficcante stratocaster, il campionario musicale continua ad essere quella visionario di sempre ma concretamente aggrappato alla terra e ai sentimenti più umani e terreni, come il racconto di una vera sparatoria, uscente come fresca cronaca nera da Five Bullets o le tante dediche alla famiglia: alla adorata moglie in  Sarah Anne, alla madre in Sentimental Times, e al figlio nella esplicita My Son; cartine al tornasole che ci confermano quanto il cantautore domiciliato in Lousiana stia attraversando una fase estremamente positiva della propria vita. Positività che non ha inficiato per nulla la sua arte, creando invece nuovi spazi da cui attingere creatività. Anche il sole può ispirare. 
Non più la sorpresa di Which Way To Here (1995) e  Living Room (1999), ma sulla stessa linea delle conferme come i recenti molto più cupi e scuri American Patchwork (2010) e Black Eye Galaxy(2012), con un ampio caleidoscopio da funamboliere della musica che gli permette di passare dal rock acido di Let It Go, agli scarabocchi da studio di registrazione di Brush Up Against Me, all'accecante trip solare dentro all'oscurità di Windows, al pop beatlesiano di Dream Girl che si prolunga ottimamente nella jam finale, al crossover "boombastico" in pieno stile '90 alla RHCP della già citata Five Bullets, alle atmosfere solari, caraibiche, in levare di Sarah Anne , i ricordi estremamente personali sulla madre scomparsa  dieci anni fa nella sentimentale e sixties-con quelle tastiere a ricordare 'A Whiter Shade Of Pale'- Sentimental Times, la semplicità acustica di I'm Ready. Tutto, con la capacità innata di stupire grazie a soluzioni musicali mai scontate e sorprese presenti dietro ogni piccolo angolo: che siano i fiati (il sax in Windows), fiammate di B3 o suoi assoli. 
Versatilità e profondità in un corpo solo. Anche se Anders Osbourne inizia a fare i conti con gli anni che se ne vanno ed un certo smarrimento da "giro di boa imminente" ("...non succede nulla a 47 anni/ Sto camminando nel grande, grande parco/Scavando nel mio profondo cuore debole/ Sto cercando aiuto" canta in 47), riesce ad aggrapparsi agli affetti più cari e ce ne rende partecipi, con somma gioia per le orecchie. Ancora una volta.


vedi anche RECENSIONE: JJ GREY & MOFRO-This River (2013)




vedi anche RECENSIONE: THE WHITE BUFFALO-Shadows, Greys & Evil Ways (2013)


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