lunedì 20 maggio 2013

RECENSIONE: THE DEL-LORDS (Elvis Club)


THE DEL-LORDS  Elvis Club (Lakeside Lounge Records/GB Music, 2013)


L'inaspettata e fresca sorpresa di questa primavera arriva da una band che aveva strumenti e amplificatori silenti, impilati in un angolo, ma evidentemente ben conservati in garage da ben ventitrè anni. Tanti ne sono passati dall'ultimo disco di studio Lovers Who Wander. I newyorchesi Del-Lords, guidati dall'ex The Dictators Scott Kempner, tra il 1982 e il 1990- tempi duri ma ugualmente prolifici per il rock classico- hanno rappresentato più di una speranza mai sbocciata concretamente (solo 4 i dischi pubblicati) ma riuscendo a guadagnare sul campo quell'aura da culto che vale più dell'effimera gloria commerciale, solo sfiorata. In fondo, la dimensione "intima da club" si sposa alla perfezione con la loro musica rovente di passione, sudata e pericolosa come i loro quartieri al calar del sole. In questi anni d'assenza nessuno dei componenti è stato veramente con le mani in mano, tanto che li ritroviamo in perfetta forma, con qualche ciuffo ribelle volato via per sempre e un po' di chili a far peso, ma musicalmente sempre là dove li lasciammo nel 1990. Oltre al songwriter Scott Kempner (chitarra e voce), impegnatissimo sia come solista, che accompagnando l'idolo di una vita Dion DiMucci o presenziando alle varie reunion dei vecchi proto-punkers The Dictators, ci sono gli originali componenti Frank Funaro (batteria) e Eric Ambel ( ex Joan Jett And Blackhearts e ora produttore, alla chitarra e voce). Unico assente a questa reunion, che ha preso forma concreta nel 2010 dopo alcune date live (e l'EP Under Construction), è Manny Caiati, sostituito da Michael DuClos (basso)
Varrebbe la pena partire dal fondo del disco per capire quanto il quartetto sia ancora in grado di infiammare anima, cuore e dita sulle corde: la cavalcante Southern Pacific è una di quelle misconosciute canzoni di Neil Young nascoste in dischi poco decifrabili e dimenticati in fretta (questa era nell'hard oriented Re-Ac-Tor del 1981) che i Del Lords fanno viaggiare come un treno senza freni. Da riscoprire, anche l'originale.
Sembra essere cambiato veramente poco nella loro proposta musicale e l'unico segno di modernità potrebbe essere il retro copertina che ne ritrae i  faccioni dentro agli shermi luminosi dei loro smartphone. Le chitarre sferraglianti, tenute a bada solamente dalla saggezza del tempo, sono sempre in primo piano, ritornate per riprendersi la paternità di una scena varia, unica, genuina, irripetibile ma inspiegabilmente breve, condivisa con altri marchi di prima grandezza come Blasters, Del Fuegos, Green On Red, Dream Syndicate, Jason & The Scorchers, Replacements e fonte d'ispirazione per tutte le generazioni indie america
ne a venire fino ad arrivare ai successi odierni raccolti dai Gaslight Anthem. La ricetta è rimasta invariata: polvere di stelle rock'n'roll in puro '50 style  (Damaged), blue collar rock impreziosito dall'armonica (Flying), garage rock proletario (When The Drugs Kick In), melodiche reminescenze ramonesiane da CBGB (Princess), tirati e chitarristici hard/blues urbani (Me And The Lord Blues, You Can Make A Mistake One Time), ancora fresche e credibili ripetizioni della formula country/rock dei CCWR nelle brillanti ballate acustiche (Letter- UnmailedAll Of My Life, Silverlake), i '60 della corale Everyday scritta insieme a Dion DiMucci , la pungente ironia a tutta slide del lesto country/boogie Chicks, Man!.
Il ritorno dei migliori esponenti dell'American Graffiti targato anni ottanta non poteva che intitolarsi-tra nostalgia e riverenza-Elvis Club, titolo preso in prestito da una prostituta che, ai tempi d'oro, quando li incrociava per strada soleva domiciliarli dentro a questa definizione per via delle loro chiome. Elvis Club, un club esclusivo di cui i newyorchesi possono vantare la tessera onoraria e che conserva intatto, al suo interno, tutto l'immaginario rock a stelle e striscie che abbiamo sempre amato e sognato. Le luci dei lampioni lungo la Bowery Street si sono riaccese per un'altra notte.

vedi anche RECENSIONE: SEASICK STEVE-Hubcap Music (2013)




vedi anche RECENSIONE: ROD STEWART-Time (2013)




vedi anche RECENSIONE: MARL LANEGAN & DUKE GARWOOD-Black Pudding (2013)



vedi anche RECENSIONE: WILLIE NILE-American Ride (2013)



Nessun commento:

Posta un commento