venerdì 5 aprile 2013

RECENSIONE: SUICIDAL TENDENCIES (13)

SUICIDAL TENDENCIES  13 ( Suicidal Records, 2013)

A giugno uscirà dall'urna un altro 13 molto atteso, quello che i fan dei Black Sabbath attendono sulla ruota del rock da circa 35 anni. Nel frattempo ci si può accontentare dello "Chinese Democracy" dei Suicidal Tendencies. Un disco che ha attraversato una via crucis lunga tredici anni, fatta di tanti annunci d'uscita lanciati a scadenza regolare ma sempre disattesi come tappe di un pellegrinaggio senza una fine. Pur continuando assiduamente l'attività live, bisogna risalire al 2000 per trovare l'ultimo disco di studio di Mike Muir e soci, il poco riuscito e stanco Free Your Soul And Save My Mind. Sarebbe stato poco glorioso per una band di guerrieri, porre fine ad una carriera con l'episodio più debole di una discografia che li ha visti tra gli antesignani del "crossover" hardcore/thrash (ma non solo) nei primissimi anni ottanta ( Suicidal Tendencies -1983 è album buono e fondamentale per la scena e la musica tutta), per poi gettarsi nelle più affollate maglie del thrash metal, uscendone comunque a testa alta grazie ai testi al vetriolo di Muir, la carica live e alla fantasia di una sezione ritmica piena di groove funky, meglio sviluppata nei progetti collaterali Infectious Grooves e Cyco Mico.
Join The Army (1987), How Will I Laugh...(1988), Lights...Camera...Revolution!(1990) e The Art Of Rebellion (1992) sono tutti dischi che continuano ad acquistare valore storico con il tempo.
Eppure, la fama, come un skate senza una ruota lanciato sui marciapiedi di Venice Beach, non ha mai superato pienamente il muro dell'underground e della devozione totalitaria dei fan suicycos, vera famiglia degna delle migliori e pericolose gang losangeline. Sottovalutati o mai capiti? La loro forza è diventata anche il principale ostacolo: troppo punk per i metalheads, troppo metal per i punkers. Troppo Funk per tutti. Prerogativa dei grandi, quelli poco allineati.
Non fosse per la musica, un personaggio come Mike Muir, tutto canotta, calzettoni, bandana e skate, meriterebbe un posto tra le personalità più influenti e carismatiche della scena crossover '80/'90. Intorno a lui, tutto anima,cuore e invettive, è sempre ruotata la line up, rifondata totalmente dopo che lo storico chitarrista Mike Clark ha abbandonato la nave nel 2012. Ecco che accanto a Muir, ora troviamo il chitarrista Dean Pleasants ormai diventato il secondo veterano, ed i novelli Nico Santora alla chitarra, Eric Moore alla batteria e Tim Williams al basso.
,La lancetta dell'orologio ritorna indietro di almeno vent'anni appena parte la chiamata alle armi di Shake It Out. La lunga assenza sembra aver giovato al quasi cinquantenne Muir, carico come una molla senza troppa ruggine negli ingranaggi, ma oliata per affrontare una rinnovata sfida sopra i palchi. Nel disco convivono tutte le anime della band californiana con la quasi totale esclusione dei primi vagiti punk/hardcore rappresentati dalla corta e anthemica This Ain't A Celebration, unico episodio veramente veloce del disco, ma preferendo il periodo di mezzo, a cavallo tra il 1990 e il 1995: dai riff thrash metal di Smash It! e Cyco Style, alla pesante e cadenzata Slam City, fino a toccare l'anima più sperimentale e funk in God Only Knows Who I Am con Dan Pleasants in grande spolvero negli assoli, e soprattutto la fantasia crossover di Show Some Love...Tear It Down con la sua breve parentesi jazz e il cameo vocale di alcuni skaters professionisti, nei mille umori di Make Your Stand tra cadenzati arpeggi, acidi solos di chitarra e belluine ripartenze, nel basso martellante di Till My Last Breath, Life (Can't Live ), negli accenni blues della finale This World.
Per chi li ha amati ed è cresciuto con la loro musica, 13 rappresenta un piacevole salto indietro nel tempo. Un colpo di spugna all'ormai vecchio e stanco  Free Your Soul And save my Mind...e un grido di appartenenza che risuona ancora forte: Still Cyco after all these years.



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