venerdì 1 marzo 2013

RECENSIONE: VIA DEL BLUES (World Out There)

VIA DEL BLUES  World Out There (autoproduzione, 2013)

In questi ultimi anni le vie del blues "made in Italy" si sono popolate di tanti nuovi giovani gruppi e autori: chi più fedele al verbo e chi più contaminato dalla modernità, chi più acustico e chi più hard, chi più accessibile e chi più impegnato, chi più vistoso e chi più defilato (da Francesco Piu, a Daniele Tenca, passando per i W.I.N.D., dai The Cyborgs ai Bud Spencer Blues Explosion per rimanere ai primi nomi che mi vengono in mente). Il tutto non può essere che un segnale gradito e positivo. Vie che dopo anni vissuti ai margini, grazie alla passione di pochi ma buoni veterani (da Fabio Treves in avanti) sembrano aver trovato la sbocco principale, quello che attraversa il grande pubblico, magari anche quello più distratto, giovane e poco avvezzo a certi suoni tradizionali. Giovani amanti della musica che fra qualche anno, ne sono certo-è quasi un processo fisiologico-torneranno a camminare a ritroso cercando le radici e l'anima del rock ormonale della loro adolescenza e (magari) sulla loro strada, prima di arrivare alla partenza nei pressi dei crossroads polverosi di Chicago, incroceranno una via dal nome semplice ed esplicito chiamata Via Del Blues, che non è quella che da Chicago porta a New Orleans, ma quella autoctona che porta diritti verso la Puglia.
E' il 1969 quando i giovani Dino Panza e Gino Giangregorio, quella strada, tra la mappa di Bari e la cartina passionale del cuore, l'avevano già trovata tanto da farla diventare il nome del gruppo e della loro esperienza di vita. Perchè il blues è soprattutto vita. Uno dei primi gruppi "blues" del sud Italia, con il solo articolo "La" in più nel monicker.
Certo, negli anni sessanta le proposte originali e i modelli da seguire erano tanti e di prima grandezza, il blues tradizionale americano aveva messo radici anche in Inghilterra contaminandosi con il rock: i Rolling Stones rapiti dai vinili della Chess Records, gli Yardbirds fucina di talenti chitarristici, mentre dagli States anche Jimi Hendrix, che stava allevando i suoi futuri adepti, si sposta a respirare l'aria di Londra. In quell'anno, quasi cruciale per il rock, uscirono dischi importanti e fondamentali. Difficile non legarsi e amare certi dischi e suoni oggi, figuriamoci allora, vivendo il momento in presa diretta. La grande passione fece il resto e fu subito come uno "sparo di pistola" andato a segno (Shot Of A Gun).
World Out There è solamente il quarto disco della band barese (Trouble Trouble-2003, Let The Band play!-2005, Another Way-2009) che con gli anni ha accumulato oltre ad una grande dose di esperienza live (tanti festival alle spalle, tra cui la recente apertura per il "gigantesco" Poppa Chubby nel 2011), anche diverse fasi musicali e formazioni, aggiungendo al proprio blues tutte le sfumature possibili e arrivando alla formula odierna condotta con classe, tra rigore e qualche svisata modernista.
Registrato quasi interamente in presa diretta, si compone di 11 canzoni originali che partono dalla dichiarazione totalitaria d'amore e d'intenti verso il genere nell'iniziale e sussultoria (Like The) Shot Of A Gun, vera carta d'identità del gruppo dove si tirano in ballo (anche nel testo) Stevie Ray Vaughan, Jimi Hendrix e l'amato Rory Gallagher. Lo sparo del blues che colpisce a colpo sicuro.
Dopo aver dato fuoco alle polveri e fatte le presentazioni, seguono la marpiona Big Dave sempre con l'armonica in grande evidenza come in tutto il disco, più di un semplice accompagnamento ma vera protagonista. "Lo strumento più bluesy" secondo il credo di Dino Panza. La chitarra sempre ispirata dell'altro veterano Gino Giangregorio, chitarrista che sa affondare come nella rockata e claptiana dagli umori sudisti Dose, come giocare di fino negli assoli (la canonicità di Just So Blues, la delicata The Fox, la sognante Strong And Wise), la voce profonda e blacky del cantante Gaetano Quarta che ci regala tutte le gradazioni della sua ugola nell'intimista e notturna Strong And Wise, ed una sezione ritmica (gli ultimi entrati in formazione Luigi Catella al basso, Marco Barile alla batteria) presente ed in primissimo piano come riscontrabile in Same Ol'Sound, e nel vivacissimo e veloce funk The Fox (ispirata dalla favola di Esopo "la volpe e l'uva").
I chiaro scuri crepuscolari di I Bent Hit Too Hard, rilettura di un brano dei Doorway (progetto del chitarrista Giangregario) dove un piano fa la sua comparsa, l'omaggio al vecchio suono blues di Same Ol'Sound e la bella Best Friend con il suo breve inizio acustico che richiama verande in legno con paesaggi da Mississippi sullo sfondo, e i boogie più movimentati e scatenati di My Bad Luck e della traccia finale dal tiro rock'n'roll  di V.D.B. Boogie che legano il sound alla tradizione, sono l'esempio della versatilità di una band con le idee sempre chiare e la strada ben segnata e rettilinea: la passione prima di tutto, senza eccessi e spreco di voci gridate. Passione che paga sempre se unita all'onestà presente anch'essa in grande quantità, e anche le loro foto sembrano parlare chiaro.

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