giovedì 31 gennaio 2013

RECENSIONE: VOIVOD (Target Earth)

VOIVOD  Target Earth (Century Media, 2013)

Angel Rat, anno 1991, è l’ultimo disco che la formazione storica dei Voivod registrò. Un piccolo capolavoro. Dopo due anni arrivò anche The Outer Limits ma il bassista Blacky era già fuori squadra. Il nuovo album Target Earth riprende la storia da quegli anni, non che il periodo con Eric Forrest e l'ultimo decennio con i dischi costruiti un po’ meccanicamente con i lasciti del compianto chitarrista e fondatore Denis "Piggy" D’Amour siano da cancellare, tutt’altro-i Voivod non hanno mai sbagliato un’uscita discografica pur combattendo (e vincendo) con un destino spesso avverso- ma solo ora, dopo l’assimilazione dell’importante perdita, in primis affettiva e poi artistica ("Piggy è lo "spirito" dei Voivod "come scrivono tra le note dei ringraziamenti) ed un periodo di giusta riflessione sul futuro della band, i canadesi sembrano ritrovare gli elementi vitali per il loro sound, sacrificati a favore di groove, melodia e potenza sonora. Gli scenari sci-fi e spaziali, ma sempre intrecciati con il desolante destino terrestre, disegnati dalla mente di Michel "Away" Longevin avevano bisogno, per rendere al massimo, di tutta la contorta commistione tra il complesso e irregolare thrash metal e la vena progressiva, avanguardista e fantascientifica, spesso smarrita negli ultimi vent’anni.
Il nuovo chitarrista Daniel "Chewy" Mongrain è cresciuto artisticamente studiando i riff di D’Amour, e pur assomigliandogli anche nel fisico, non lo sta scimiottando ma sta eseguendo con grande devozione e rispetto quello che avrebbe fatto Piggy se ancora in vita davanti a composizioni del genere, tanto da sembrarne la reincarnazione. 
Il cantante Denis “Snake” Belanger è tornato in splendida forma vocale come dimostra nell'allucinata Kaleidos, così come il bassista Jean-Yves "Blacky" Theriault, presenza ben rodata durante i tour che hanno preceduto l'uscita e reintegrato dopo vent'anni di assenza come se non fosse mai uscito dal gruppo. 
I Voivod sembrano tornati alla stabilità che giova all’ispirazione, permettendo loro di volgere lo sguardo ai vecchi e complessi capolavori Killing Technology (1987), Dimension Hatross (1988) e Nothingface (1989), riprendendone i complicati cambi di tempo e le dissonanze (Target Earth), le aperture progressive in Empathy For The Enemy , gli assalti thrash dai chorus quasi hardcore di Kluskap O'Kom e di Corps Etranger cantata in francese, le stranianti e avvolgenti atmosfere circolari di Mechanical Mind, l'oscuro incedere pinkfloydiano che precede gli apocalittici scenari di Warchaic, la prima parte melodica di Resistance che si trasforma in un lento, sinistro e cadenzato macigno doom, la strepitosa archittettura di Artefact, un vortice  scuro che inghiotte tutto ciò che incontra sulla strada.  
I Voivod rimangono, oltre che inimitabili, uno dei pochi gruppi che possono permettersi di volgere lo sguardo al loro passato, riprenderne le idee, le atmosfere, le tematiche senza risultare vecchi o nostalgici, o più banalmente una copia di se stessi. Il motivo? Avanti - di molto-lo erano già trent'anni fa, tanto da sembrarlo ancora oggi. Rimane solo da scoprire di quanti anni erano(sono) oltre. Un giorno, qualcuno lo scoprirà ma sicuramente non sarà di questo pianeta. 


Nessun commento:

Posta un commento