martedì 25 settembre 2012

RECENSIONE: MICHAEL McDERMOTT ( Hit Me Back )

MICHAEL McDERMOTT  Hit Me Back  ( Pauper Sky records, 2012)

Basterebbe la visione del bellissimo, originale ed autoironico/biografico video che accompagna Hit Me back, canzone e title track che apre il nuovo disco del cantautore americano Michael McDermott. Un pugile, lo stesso Michael, combattente e carico di tante buone intenzioni che affronta il mastodontico avversario (la vita in tutte le sue forme) che senza pietismi lo riempie di botte: labbro tumefatto, occhi neri e alla fine lo manda a tappeto, senza troppi complimenti. Metafora di vita. Batoste che segnano volto e percorsi, lasciando ferite e cicatrici che solo il tempo riesce a rimarginare. Nel frattempo, ci si consola nei modi più facili e spicci, e l'alcol è molto spesso un compagno sicuro ma traditore. Ma poi, se si ha la forza, si viene fuori da tutto: con la forza di un amore (Let It Go)-la moglie e artista Heather Lynne Horton sposata in Italia; dei figli -fresca paternità; la fede-le origini irlandesi; gli amici-tanti anche in Italia; i viaggi ( ascoltate l'elogio ai treni di Dreams about trains)-Michael ama talmente tanto il nostro paese che chiude il disco con una speciale dedica alla nostra terra, intitolata semplicemente "Italy". Gli appigli sono sempre presenti e visibili se non ci si lascia volutamente accecare. Scars From another Life, parla proprio di questo: per andare avanti bisogna lasciare le cicatrici da qualche parte, nel passato, in un altra vita.
La vita di Michael McDermott è passata veramente da quel ring ed i round, a volte, sembravano infiniti, tanto che qualcuno (il regista John Dahl) li mise anche in pellicola (Il giocatore-1998). Un cantautore dal talento brillante e scintillante -chiedere informazioni allo scrittore Stephen King che lo ha sempre sostenuto e spesso citato nei suoi libri- che ha dovuto sgomitare con tutto quello che la vita gli ha messo di fronte: da uno strepitoso debutto (620 W.Surf-1991) (forse) mai eguagliato-avvicinato solo dal secondo Gethsemane(1993), dalle case discografiche che a volte sembrano recitare un ruolo più da avversarie e ostacoli che vere amiche su cui poter contare, alle perdite umane che ne hanno segnato le liriche, a quei paragoni artistici che inizialmente fanno piacere ma che poi diventano un altro macigno ingombrante, tanto da fare da zavorra se si vuole spiccare veramente il volo con le proprie ali.
Anche Hit Me Back,  dodicesimo lavoro del songwriter di Chicago prende forma dopo una perdita importante: la morte della adorata madre, avvenuta nel 2011. Da questa perdita parte un lavoro come sempre introspettivo e ricco di sfumature musicali che sa guardare, sì alle cicatrici del passato ma anche calarsi con ottimismo nel più radioso presente. La mano del produttore CJ Eiriksson, non del tutto nuovo a McDermott, uno che ha lavorato con U2, Phish e Incubus si sente nei momenti più rock/pop come la titletrack, in She's gonna kill me, negli arrangiamenti orchestrali di Let It Go, nel'appeal radiofonico di The Prettiest Girl in the World ( con la chitarra di Grant Tye) che lo stesso McDermott non esita ad indicare come la canzone più divertente e spensierata che abbia mai composto che si contrappone in modo deciso al rock tirato e teso di Ever After, vera e propria dedica alla madre appena scomparsa. 
Senza dimenticare il prezioso lavoro di Klem Hayes al basso, Larry Beers alla batteria, Danny Mitchell alle tastiere e della stessa moglie Heather al violino e cori.
Ma il disco paradossalmente, almeno per me, inizia a prendere il volo quando la musica si libera di orpelli ed elettricità, diventando spoglia ed ombrosa. Le evocative visioni della folk ballad I Know a Place...,e soprattutto l'ultima parte del disco che ti inchioda i guantoni con chiodi di rara e piacevole bellezza, che sembrano fissare il tempo a poco più di vent'anni fa, quando le sue canzoni stregarono pubblico e musicisti. Canzoni nude ed acustiche che esaltano la sua voce e scrittura genuina, sensibile e profonda. Quando partono la intensissima ballata pianistica Is there a kiss left on your lips; e A Deal with the Devil, una dark western song, pronta a ricordarci che si arriva a Dio solo dopo aver fatto conoscenza del demonio.
I sei minuti di rara bellezza di The Silent Will Soon be Singing; e poi la sentita Where the river meets the sea che è, come spiega lo stesso McDermott, una di quelle canzoni che ti arrivano magicamente in dono da forze sconosciute. La dedicò al musicista Eric Lowen, malato di Sla, meglio conosciuto in coppia con Dan Navarro e morto nel marzo di quest'anno e la cantò al funerale della madre, che già in vita riuscì ad apprezzarla. 
La breve e acustica Italy, finale e speciale omaggio nato dopo una serata passata con amici italiani a Rocca San Casciano, è un piccolo affresco che emana sincera gratitudine ad un paese che lo ha adottato e che lo ospita sempre volentieri.
Se Michael McDermott ha ritrovato se stesso, noi abbiamo ritrovato, almeno nella seconda parte del disco che è quella che mi ha colpito di più, la sensibilità di un artista troppo spesso dimenticato (Stephen King dixit). Un outsider della musica che nemmeno con questo disco scalerà le classifiche di popolarità. Ma in fondo, chi ama la sua musica non vuole propriamente questo. Avanti Michael, la campanella dell'ennesimo round sta per suonare.

vedi anche RECENSIONE: MICHAEL McDERMOTT & THE WESTIES-West Side Stories (2014)







 

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