venerdì 24 agosto 2012

RECENSIONE: PONDEROSA ( Pool Party )

PONDEROSA   Pool Party  (NEW WEST Records, 2012)


I Ponderosa, dopo due soli dischi, sono ufficialmente un gruppo in cerca di una identità: figli del solare e bucolico southern rock degli anni settanta o fratelli del neo indie/rock del nuovo millennio? Il loro debutto fu una piacevole ondata di aria fresca che piegava spighe gialle e faceva oscillare verdi rami, Moonlight revial si poneva esattamente a metà strada tra i primi e campagnoli Kings Of Leon e l'anima più semplice, southern e diretta dei Black Crowes. Nulla per cui strapparsi un qualcosa da dosso ma comunque un ascolto piacevole di analogia musicale.
Poco meno di due anni fa concludevo la recensione del loro esordio con queste parole: "Per chi crede che i Kings of Leon abbiano perso quel poco di rustico che sembravano avere ad inizio carriera, consiglio l'ascolto dei Ponderosa, sperando che la loro genuinità non si perda per strada come successo ai sopracitati "nuovi dei" del rock americano".
In Pool Party di quell' esordio uscito un paio di anni fa, rimane veramente poco se non nulla. L'incontro con il produttore Dave Fridman (Flaming Lips, Mercury Rev) ha trasformato letteralmente il loro suono. La fresca brezza di campagna che soffiava sull'esordio sembra perdersi nello sconfinato spazio celeste in compagnia della voce di Kalen Nash che viene doppiata come fatto splendidamente dai Fleet Foxes, le chitarre che zigzagano, la batteria che diventa sincopata e ipervitaminica, e il pianoforte che lascia il posto a tastiere che in alcuni punti sembrano giocare con la new vawe elettronica, ricordando oltre ai già citati Fleet Foxes, gli ultimi lavori in casa Arcade Fire, My Morning Jacket e Okkervil River.
Dall'iniziale crescendo di Here I Am Born con il suo finale, inaspettatamente cacofonico e noise; passando dall'alt -pop contagioso del  singolo Navajo, un omaggio moderno ai nativi americani; alla calata in questo mondo moderno delle atmosfere '60 alla Roy Orbison/Beach Boys della ballata Never Come Back si cammina su una enorme bolla, tra il perenne sogno e l'incubo imcombente.  
Le atmosfere si fanno tese ma dolcemente psichedeliche nelle visioni di The Nile, claustrofobiche in Get A Gun, esplosivamente industriali in On Your Time, in continua attesa di una imminente catastrofe che sembra non arrivare mai, così come il disco lascia un senso di incompiutezza.
Se fino a metà disco si viaggia nella bellezza eterea, con il passare dei minuti si rischia di galleggiare sopra ad una formula ripetitiva e stancante in cerca di un appiglio concreto per poter ricordarsi qualcosa di queste canzoni che funzionano meglio prese singolarmente. 
Se il secondo disco è sempre il più difficile nella carriera di un artista, per i Ponderosa da Atlanta, lo sarà il terzo. Tanto per capirci qualcosa.  









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