mercoledì 25 luglio 2012

RECENSIONE: THE GASLIGHT ANTHEM ( Handwritten )



THE GASLIGHT ANTHEM    Handwritten-deluxe edition (Mercury Records, 2012)

"Sarebbe stupido provare a dirvi che la musica che state ascoltando è qualcosa che non avete mai sentito prima". Così inizia la presentazione al disco fatta da Nick Hornby, presente sul libretto del nuovo lavoro dei Gaslight Anthem.
Come dargli torto.
Handwritten è però un disco importante per la band di Brian Fallon, un ragazzo serio e con le idee chiare. Dopo il botto di The'59 Sound(2008), la conferma meno esaltante in quanto ad impatto e sorpresa di American Slang(2010), la pubblicità sempre e comunque a voce bassa fatta dal loro concittadino di Asbury Park più illustre, tale Bruce Springsteen, per i Gaslight Anthem era arrivato il momento di giocarsi la carriera con il quarto disco. Scelgono di farlo con il grande salto discografico dall'indipendente SideOneDummy alla "major" Mercury e la produzione importante di Brendan O'Brien. Tutto però sembra rimanere come prima, tanto che il loro suono inizia ad avere una impronta personale e riconoscibile anche senza "quella originalità a tutti i costi" sottolineata da Hornby: bastano idee semplici, testi superiori alla media ("rockers che leggono molto", dice sempre Nick Hornby), buone melodie e tanta serietà. 
Ci sono due cover presenti come bonus tracks nella limited edition (oltre alla loro Blue Dahlia-che vedrei così bene in Born in The USA di Springsteen) che potrebbero benissimo fare da punti estremi alla loro musica: una è Sliver dei Nirvana, l'altra You Got Lucky di Tom Petty. Ecco, tra il revival '70 del grunge, dove punk e alternative trovavano un nuovo modo di unirsi negli anni novanta e il rock'n'roll americano più tradizionale dei grandi songwriters si racchiude tutta la loro musica. Potrà essere limitativo ma ce n'è abbastanza per costruirci una carriera che difficilmente avrà singoli di successo planetario (anche se Mtv si sta già muovendo-questi sono i magici effetti "major", babe!!!)  ma potrà benissimo diventare quella di un gruppo a cui ci si potrà appellare quando si è alla ricerca dell'usato, sicuro e garantito.
Il singolo "45" è la canzone perfetta per presentare  i Gaslight Anthem agli amici; Handwritten viaggia tra Social Distortion e Springsteen; Here Comes My Man e Mulholland Drive- con le belle chitarre di Fallon, Alex Rosamilia e Ian Perkins che mi hanno ricordato i primi Big Country-marciano decise con i testi che vorremmo ascoltare se fossimo in perenne viaggio sopra a qualche auto spersa per le highways americane tra romanticismo (Mae), nostalgia dei '50 (Handwritten) e il pensiero concentrato su qualche dolore accumulato in vita(Keepsake). 
In Too Much Blood, un grintoso Fallon-molto migliorato alla voce- sembra addirittura travestirsi da Chris Cornell e il gruppo piazza la prova più singolare in carriera snocciolando un hard rock non lontano dagli Audioslave, tanto per rimanere dalle parti di Cornell, cosa che si ripete nella buona prova di gruppo (completano la formazione: Alex Levine al basso e Benny Horowitz ala batteria) di Biloxi Parish.
A conti fatti, pezzi come Howl, con i suoi chorus da punk melodico facilotto alla Green Day e Desire mi sembrano i punti meno interessanti di un lavoro vario e splendidamente prodotto da O'Brein che ci mette del suo anche a livello strumentale e offrendo  lo studio di registrazione a Nashville.    
National Anthem chiude in modo notturno e soffuso con l'aiuto di Patrick Warren alle tastiere e arrangiamento archi, pagando debito allo Springsteen più intimistico e descrittivo. Da ascoltare nei pressi dello Stone Pony al calar del sole. Gran canzone, sicuramente tra le più riuscite, che conferma i Gaslight Anthem tra i migliori gruppi di classic-rock in circolazione, in grado di unire lo slancio giovanile con una scittura dal vecchio sapore rock'n'roll: se vi sono piaciuti i primi tre album anche il loro passaggio su major non vi deluderà.
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